Avrebbero dovuto riguardare il “turismo slow”, ma di lento – questa la traduzione dell'aggettivo inglese, per chi non lo sapesse – finora c'è stato solo l'iter burocratico. Che ora, invece di concludersi come annunciato un annetto fa, rischia di ripartire da zero scontentando centinaia di comuni e migliaia di imprenditori privati.

 

Quella dei bandi per la valorizzazione dei borghi è una storia recente, la cui conclusione deve essere ancora scritta, ma che affonda le sue radici nel tempo: basti pensare che a finanziarli è denaro dei fondi Sviluppo e Coesione che la Calabria avrebbe dovuto spendere nel settennato 2000-2006. Alle soglie del 2021, invece, ci sono ancora 361 dei 404 comuni calabresi e 2321 imprenditori in trepidante e malumorosa attesa di capire che fine faranno gli oltre 136 milioni di euro che la Regione targata Mario Oliverio aveva impegnato e che l'attuale maggioranza intende spendere diversamente da come prevedevano i suoi predecessori.

2018, ogni comune diventa borgo

Quando – era il 2018 – la vecchia amministrazione regionale rese pubbliche le sue intenzioni di investire nel settore tutti quei soldi, in Italia i borghi erano già da tempo assurti a simbolo di un turismo nuovo e in continua crescita, lontano dai flussi di massa delle grandi città e più adatto a scoprire storia, paesaggi, tradizioni, cibi, identità dei territori visitati.

 

Ma non solo: quei piccoli paesi, complici i costi minori, dopo anni di progressivo abbandono cominciavano a essere meta ideale per andare ad abitare, grazie a una qualità della vita di molto superiore a quella delle città. Più turisti e meno spopolamento: un'onda che cresceva e che la Regione provò a cavalcare con dei bandi che, però, dopo pochissimo iniziarono a far discutere.

 

Oliverio e i suoi, infatti, fissarono paletti per la partecipazione che – seppur privilegiando nel calcolo dei punteggi determinate caratteristiche tipiche dei borghi – non escludevano praticamente nessuno, tanto che a presentare domanda fu circa il 98% dei comuni calabresi: 395 su 404, con le proposte di 361 di essi giudicate ammissibili ai finanziamenti. Che non erano irrisori, specie per chi borgo lo è davvero: stanziamenti da 300mila a un milione e mezzo di euro, grazie a 100 dei 136 milioni in ballo destinati agli enti locali.

 

In pratica, chiunque avesse nel proprio piano regolatore una zona classificata come A era autorizzato a chiedere fondi. Così facendo anche i centri che per popolazione ed estensione è ardito definire borghi avrebbero potuto sperare nell'arrivo di denaro. Una follia? Non del tutto o, almeno, non per Oliverio e i suoi, la cui spiegazione ufficiosa è questa: in Calabria non mancano i comuni, anche grandi, nelle cui contrade sorgono insediamenti storici per i quali quella definizione potrebbe, invece, calzare a pennello.

 

Ma comunque la si pensi a riguardo, una cosa è certa: quell'impostazione del bando si trasformò in un tentativo di assalto alla diligenza.

Pochi soldi (ma per tutti) e una promessa

Inutile dire che la quasi totalità dei municipi chiese il massimo possibile, mentre le elezioni regionali si avvicinavano giorno dopo giorno. Come accontentare tutti, rafforzando magari così la possibilità di un bis di Oliverio in calo di consensi e in scadenza di mandato? Per finanziare ogni progetto di milioni ne sarebbero serviti almeno il quadruplo.

 

E così si adottò una soluzione svelata proprio da LaC e mai smentita dai vertici regionali. I sindaci dei comuni che avevano fatto richiesta vennero convocati uno per uno alla Cittadella nell'autunno del 2019 per ricevere una proposta che suonava più o meno così: accettare una cifra compresa tra i 300mila e i 500mila euro per il momento, perché così i soldi sarebbero arrivati subito e ci sarebbe stato un tot per ognuno. Con una promessa, di cui nessuno ha parlato finora: una volta rieletto, Oliverio avrebbe destinato altri 300 milioni della programmazione 2021-2027 ai progetti finanziati da principio solo in parte, così da distribuire il denaro necessario a realizzarli così come erano stati presentati.

 

Molti storsero il naso (non l'Europa - sostengono dall'entourage dell'ex governatore, lui preferisce il silenzio da mesi ormai – che, anzi, a gennaio di quest'anno in un incontro istituzionale tenuto a Roma si sarebbe complimentata per il massiccio stanziamento di risorse preventivato, da record per le regioni italiane), nessuno prese un centesimo, a Oliverio il Pd preferì Callipo e in Regione arrivò la Santelli. E i fondi per i borghi o presunti tali? Congelati fino ad oggi, con sindaci e imprenditori tornati alla carica per conoscerne il destino, commissioni di valutazione lente come bradipi e graduatorie ancora in fase di approvazione definitiva.

Spirlì e un rospo da ingoiare

Una voce, intanto, si è fatta sempre più insistente: quei bandi saranno annullati. Ma è davvero così? Non del tutto, parrebbe, anche se il giudizio su di essi da parte di chi oggi è chiamato ad occuparsene non è certo dei migliori. Quando gli si chiede qualcosa a riguardo l'aggettivo più tenero che Nino Spirlì – la competenza sui borghi, come titolare della delega ai Beni culturali, compete proprio all'attuale vicepresidente della Giunta adesso – usa è «pedestri».

 

Il leghista, però, precisa di essere disposto «a ingoiare il rospo» pur di non vedere inutilizzati i 100 milioni destinati da Oliverio ai comuni: «Non possiamo mandarli indietro, sono comunque importanti per rimettere in moto l'economia in questo momento». Annuncia, come già nel recente passato, che da qui a pochi giorni dovrebbe essere pubblicata la graduatoria definitiva dei progetti che verranno davvero finanziati, ma chiarisce che a beneficiare del denaro saranno al massimo «una settantina» di enti. Gli altri 290 possono mettersi l'anima in pace, non vedranno un euro: «I soldi o si investono o si sprecano», prosegue l'assessore regionale, facendo intuire come la distribuzione a pioggia di fondi su tutto il territorio rientri ai suoi occhi nella seconda categoria.

Una nuova legge regionale in arrivo?

Non che la questione dei borghi non gli stia a cuore, ma a riguardo ha idee diverse da quelle dei suoi predecessori in Giunta. La principale è quella di arrivare entro la fine dell'anno all'approvazione di una legge attraverso la quale sarà la Regione a stilare un elenco ufficiale e ristretto di chi possa fregiarsi davvero del titolo di borgo, secondo criteri più selettivi di quelli adottati nei bandi oliveriani.

 

Tanto che negli ambienti vicini all'ex governatore si ironizza sul fatto che, così facendo, per vedere qualche soldo i comuni interessati dovranno attendere anni e anni. L'elenco, secondo le stime di Spirlì, dovrebbe comprendere «al massimo il 10% dei comuni calabresi»: una quarantina circa, quindi, ossia la metà di quelli destinati a ricevere finanziamenti grazie all'attuale bando e un decimo di quelli che vi avevano partecipato. I paesi nelle vicinanze dei quaranta selezionati però potrebbero beneficiare anche loro di fondi, purché li richiedano per progetti che evidenzino legami con il borgo limitrofo, secondo la spesso abusata formula “fare rete”. E quali sarebbero le risorse destinate a borghi e dintorni? Impossibile quantificarle prima della legge che ha in mente Spirlì, ma il denaro – tra gli stanziamenti del Mibact (secondo l'assessore sono in arrivo per la cultura calabrese quasi 400 milioni di euro dal ministero ai quali attingere) e quelli dell'Ue – non dovrebbe mancare. Il condizionale, insomma, fino alla prossima puntata della saga resta d'obbligo.

I privati a bocca asciutta

Le uniche certezze, invece, si hanno sui 36 milioni che Oliverio aveva destinato ai privati. E non faranno felici gli imprenditori. Il vicepresidente della Regione è categorico: annullerà i bandi che avrebbero dovuto “sostenere le imprese nei settori della ricettività extralbergiera, della ristorazione di qualità e dei servizi turistici e culturali”, come si legge ancora nella pagina web ad essi dedicata, con buona pace di quanti avevano investito soldi per presentare i progetti. E magari – dopo che la propria proposta era stata giudicata ammissibile – avevano pure cominciato i lavori in attesa di vederseli rimborsati (fino a un massimo del 70% se a presentarli erano donne o under 30).

 

L'avviso pubblico prevedeva, infatti, l'ipotesi che i privati dessero il via agli interventi in attesa della pubblicazione delle graduatorie definitive dei progetti finanziati, per poi ricevere dalla Regione fino a 200mila euro. Non sono pochi ad averlo fatto, ritrovandosi adesso ad aver sostenuto spese che col senno di poi forse avrebbero fatto meglio ad evitare. Era un modo per velocizzare (almeno in teoria) le procedure, si è rivelato un boomerang per chi si è fidato. Più d'uno vorebbe portare la Regione in tribunale, ma alla Cittadella si sentono al sicuro da eventuali ricorsi. E poi, fino all'annullamento ufficiale del bando e alle relative motivazioni per giustificare lo stop, c'è ben poco a cui opporsi di fronte ai giudici. Di ufficiale, al momento, però c'è solo una graduatoria provvisoria che risale a gennaio di quest'anno.

Che fine faranno i 36 milioni?

Difficile sapere dove finirà tutto quel denaro. Spirlì conta di riutilizzarlo, a legge andata in porto, per gli imprenditori delle zone interessate dalla nascitura norma regionale. «Prima stabiliamo quali siano i borghi, poi sosterremo i privati che vogliono investire lì» è la sintesi del suo pensiero, in linea con quanto ha ipotizzato per gli enti locali. I vecchi progetti, quindi, potrebbero essere ripresentati, ma solo da chi gravita intorno ai quaranta comuni selezionati dalla Regione. E tutti gli altri? Possono solo confidare in qualche altro bando che tenga conto anche di loro.

 

A tenere accesa una flebile speranza potrebbe essere un altro assessorato, quello al Turismo, guidato da Fausto Orsomarso. Il meloniano preferisce tenere la bocca cucita se gli si chiede dei borghi, questione di garbo istituzionale verso il collega di Giunta. Ma la sua posizione su come rilanciare la Calabria nel settore che lui gestisce è nota da tempo: selezionare ogni anno specifiche aree geografiche – che chiama «acceleratori di sviluppo» - su cui investire, affinché facciano da traino per le altre.

 

Quei 36 milioni inutilizzati farebbero parecchio comodo in tal senso, tanto quanto quelli rimasti da altre misure finanziate dalla precedente amministrazione, come Garanzia Giovani, recuperabili rimodulando i fondi. Anche in questo caso, però, conterebbe l'ubicazione dell'attività imprenditoriale, prima ancora che la bontà del progetto presentato. E c'è da giurare che i privati già esclusi dall'annullamento dei vecchi bandi, di fronte a un nuovo diniego, non seppelliranno l'ascia di guerra, portandola con sé in cabina elettorale.