I consiglieri regionali temono di lasciare campo libero ai loro principali competitor, Bruno Censore e Nicola Adamo, nel caso in cui dovessero legarsi troppo al governatore oggi in rotta con il partito
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«Più che un “ciaone”, quello di Michele e Giuseppe è stato un “ciaoino”». Un arguto conoscitore del mondo dem commenta così la sortita di Mirabello e Giudiceandrea, i due consiglieri regionali del Pd che ieri hanno ribadito con forza la loro appartenenza al partito di Zingaretti, «non avendo dinanzi a noi nessun altro orizzonte politico diverso».
Gli esponenti calabresi di “Futura” (la rete di sinistra che fa capo a Laura Boldrini e Marco Furfaro) hanno dunque riscoperto (forse con un po' di ritardo) l'amore per il Pd, ma questo non significa che abbiano dato l'addio definitivo (il “ciaone”) a Mario Oliverio.
Mirabello e Giudiceandrea erano e restano due fedelissimi del governatore. Non intendono certo abbandonarlo, ma al tempo stesso non vogliono incatenarsi a ogni costo al suo destino.
Per dirla con una formula riduttiva ma abbastanza calzante, vorrebbero tenere il piede in due scarpe. Equilibrismo politico, insomma, che in questi tempi incerti è una sorta di must per tutti i consiglieri uscenti a caccia di una – comunque difficile – riconferma.
D'altronde, lo stesso Giudiceandrea, proprio oggi, ha tentato di chiarire meglio la sua posizione e quella di Mirabello: «Noi abbiamo voluto chiedere a tutte le parti oggi in lotta, compreso Oliverio e noi per primi, di riportare la discussione all’interno delle sedi deputate. Questo non significa che abbandoniamo nessuno, soprattutto la nostra appartenenza, perché oggi nessuno può permettersi di dividere il partito».
Niente rotture, dunque. Ma un'apertura di orizzonti sì, al fine di ribadire la fedeltà a un Pd che potrebbe, come ultima ratio, anche optare per l'espulsione del “suo” governatore, nel caso in cui Oliverio non dovesse recedere dai propositi di una candidatura in solitaria, in aperta sfida al partito.
Le ombre
La mossa tattica di Mirabello e Giudiceandrea potrebbe dunque essere nient'altro che l'apertura di una seconda porta. Perché? Perché dietro la prima potrebbero nascondersi ombre in grado di risucchiarli.
I due consiglieri hanno i loro personalissimi demoni. Quello di Mirabello si chiama Bruno e di cognome fa Censore; quello di Giudiceandrea risponde al nome di Nicola, Nicola Adamo.
Il dem vibonese ha già detto a chiare lettere di non voler lasciare «varchi» nel Pd. Tradotto: il mio (ex?) amico Censore non si faccia illusioni, non gli lascio campo libero abbandonando il partito. L'ex deputato, dal canto suo, ha sperato fino all'ultimo in uno strappo di Mirabello che gli permettesse di essere l'unico big che il Pd presenterà nel collegio centrale alle prossime Regionali.
È chiaro che Censore, per Mirabello, costituisce un ingombro impossibile da ignorare, anche perché, nel 2014, l'attuale presidente della commissione Sanità fu eletto in virtù del grande sostegno elettorale arrivato da “Brunello”. E dunque il consigliere di Ricadi ha bisogno di tenere chiuso il varco dem ma al tempo stesso di non tagliare i ponti con l'area del governatore, che potrebbe essere l'eventuale piano B in caso di una supremazia censoriana nel Pd.
Analoghe le paure di Giudiceandrea. Che, per quanto lo riguarda, ha bisogno di ribadire i suoi rapporti di fedeltà al Nazareno, dal momento che la via oliveriana potrebbe presentare uno sbarramento insuperabile.
Il capogruppo di Democratici progressisti teme che la composizione delle liste a supporto di Oliverio possano finire sotto la “giurisdizione” del presidente-ombra, quel Nicola Adamo con cui lui è entrato in rotta di collisione ormai da diversi anni.
«Giudiceandrea - riflette un dirigente regionale del Pd - rischia di essere impallinato, al punto di ritrovarsi fuori dai giochi senza poter reagire».
L'imperativo politico è insomma solo uno: non precludersi alcuna via. E Mirabello e Giudiceandrea l'hanno capito appena in tempo.
Il richiamo della Leopolda per Aieta
Discorso diverso per l'altro consigliere regionale rimasto nell'inner circle del governatore, Giuseppe Aieta. L'ex sindaco di Cetraro non ha demoni personali da sconfiggere, semmai richiami di sirene da allontanare. C'è chi dice che il canto melodioso di Ernesto Magorno lo stia per spingere tra le braccia di Matteo Renzi e della sua Italia Viva. E difatti si vocifera molto circa la sua presenza alla prossima Leopolda.
Oliverio riuscirà a legare Aieta all'albero maestro della sua nave? A breve se ne saprà di più.