VIDEO | Il presidente della Commissione antimafia e la deputata di Tropea si scagliano contro qualunque ipotesi di accordo con il Pd in vista delle regionali, nonostante il capo politico abbia sdoganato l’idea di un candidato civico sul quale convergere ognuno con i propri simboli di partito
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«In Calabria alleati con il Pd? Non sia mai». Se c’era qualcuno che dava per scontato l’allineamento dei Cinquestelle calabresi alle direttive impartite dal Luigi Di Maio dovrà ricredersi. Il senatore Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia, intervenendo ad Agorà su Rai Tre, è stato categorico. Una reazione particolarmente veemente forse anche a causa della domanda che gli è stata posta, e cioè se sono fondate le voci che lo indicano come candidato alla regione nell’ottica di un accordo con il Pd. Per Morra non se parla proprio, «perché - ha sottolineato - il Movimento è nato per esser alternativo a certi mondi, certi mondi partitocratici che hanno fatto vergognare molto spesso gli stessi elettori che gli avevano dato fiducia».
Secondo il senatore pentastellato, se c’è il tentativo di qualcuno «di ricostruirsi la verginità persa usando altre persone che non provengono dalla loro tradizione, benissimo, non si va da nessuna parte».
Infine l’affondo più pesante: «Si facesse pulizia prima che intervenga la magistratura, la politica deve avviare certi processi di autoriforma. Io ce l'ho con i comportamenti che non solo non sono virtuosi, ma sono addirittura delittuosi e qui in terra di Calabria posso assicurare che il Partito democratico ha dato molto, molto lavoro alla magistratura».
A dare più o meno direttamente manforte a Morra è stata qualche ora dopo la deputata di Tropea Dalila Nesci: «Quello dell'Umbria secondo me non è un modello replicabile in Calabria. Anche alle europee ci siamo confermati primo partito, abbiamo mantenuto alta la bandiera del M5s per la serietà con cui abbiamo condotto le battaglie: l’idea di lasciare la responsabilità di aggregare forze ad un esponente del civismo sarebbe sbagliata. È il M5s che si deve fare garante di un'aggregazione civica», tanto più ora che pare «possibile che Oliverio indica le elezioni per dicembre». Una altra sconfessione, dunque, per la linea Di Maio, dettata questa volta anche dalla cocente delusione per essere stata tenuta fuori dagli incarichi di governo. All’indomani della nomina dei sottosegretari, infatti, Nesci non fece mistero di esserci rimasta molto male. E ora torna a battere un tasto per lei molto dolente: la sua eventuale candidatura alla Regione.
«Io mi ero resa disponibile ancora prima della caduta del governo – ribadisce -. Lo dissi a Di Maio, gli dissi che sono disposta a dimettermi da parlamentare e candidarmi». Poi continua: «Per il Movimento è arrivato il momento di scegliere cosa vogliamo fare da grandi, non possiamo più tergiversare. Abbiamo deciso di prenderci la responsabilità di governo, io credevo nella svolta governista e ci credo ancora, tant'e che ho sostenuto e sostengo la nascita di questo nuovo esecutivo. Ora dobbiamo avere il coraggio di proporci per governare anche una regione così disastrata come la Calabria».
Nesci, inoltre, ha ricordato il voto attraverso la piattaforma Rousseau, che ha dato il via libera per l’apertura alle liste civiche. «Ma dobbiamo farlo facendoci noi garanti, non delegando ad altri - precisa -. Tanto più che siamo i primi a sapere che esistono liste civetta che nascondo interessi di partiti e che la criminalità organizzata è capace di infiltrarsi ovunque».
Le esternazioni di Morra è Nesci sono solo l’ennesima conferma che il terremoto politico innescato da Salvini questa estate, continua a produrre forti scosse di assestamento. Che la situazione sia magmatica e in continua evoluzione, lo dimostra quanto accaduto nelle ultime ore. Sia a livello nazionale che in Calabria, infatti, il centrosinistra si è spaccato, anche se si tratta di due fratture completamente diverse.
A Roma Matteo Renzi ha ufficialmente decretato la sua uscita dai dem, portandosi dietro una trentina di parlamentari, tra cui il senatore calabrese Ernesto Magorno, per aumentare così il suo peso specifico nella maggioranza che regge il Conte bis.
In Calabria, invece, il commissario regionale dei democrat, Stefano Graziano, ha lanciato ieri l’aut aut al presidente Mario Oliverio, minacciando la sua espulsione dal partito.
Per minare ulteriormente la strada che conduce alla ricandidatura del governatore, è arrivata anche la nomina di Mimmo Battaglia a capogruppo Pd in Consiglio regionale, lontanissimo dalle posizioni di Oliverio.
Contestualmente, a Feroleto, a pochi chilometri di distanza dalla riunione di Lamezia con Graziano, un altro centrosinistra in miniatura guidato dal Partito socialista si schierava a difesa del presidente uscente, con il segretario regionale Luigi Incarnato a ribadire ciò che aveva già detto qualche giorno fa, e cioè che Oliviero (lo stesso che lo ha nominato alla guida della Sorical, la società pubblica che gestisce le risorse idriche in Calabria) merita di essere ricandidato.
Ormai è davvero difficile immaginare come il governatore possa resistere, soprattutto in considerazione della rotta tracciata dal capo politico dei cinque stelle, che ha aperto all’alleanze locali con il Pd a patto che siano vestite di civismo. In Calabria il candidato ideale resta l’imprenditore Pippo Callipo, abbastanza grillino senza esserlo davvero e sufficientemente vicino ai democrat per non provocare reazioni di rigetto. Ma, come dimostra l’uscita a testa bassa di Morra, digerire l’accordo con gli odiati dem anche a livello regionale, dopo aver dovuto ingoiare il boccone amaro dell’alleanza a Palazzo Chigi, per i pentastellati non sarà affatto facile.