VIDEO | Se il governo giallo-rosso nascerà, l’alleanza dovrà poi essere testata a livello locale per contrastare un centrodestra che ritroverà compattezza nell’opposizione parlamentare. Un amaro calice che dovrà essere bevuto fino in fondo ma alla fine potrebbe fare bene ad entrambi, ridimensionando la spocchia dei pentastellati e portando un po’ di pulizia tra le fila dei democrat
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Ci sarà da divertirsi. O forse no. Se la politica fosse solo intrattenimento da gustare sgranocchiando popcorn, come suggeriva Renzi nel maggio dello scorso anno quando Cinquestelle e Lega sottoscrissero il famigerato contratto e cominciarono a governare, quello allestito sulla scena italiana nelle ultime settimane sarebbe davvero un gran bello spettacolo. Magari da seguire guardando Mentana che batte il suo nuovo record di resistenza. Uno show ricco di colpi di scena, di fugaci amori e feroci tradimenti, fallimenti e successi, di anatemi e promesse di vendetta tremenda vendetta.
Aveva ragione Renzi, deciso ad aspettare sulla riva del fiume che il cadavere di quell’improbabile alleanza gli scorresse davanti. E così è stato. Nel frattempo, il Pd ha ripreso fiato, ha assorbito il colpo che poteva essere fatale delle politiche del 2018, quando precipitò al 19%, ha recuperato alle Europee del 2019 sfiorando il 23% e ora, se tutto procede come previsto, si ritroverà nuovamente a Palazzo Chigi, al fianco di un Movimento 5 stelle fortemente ridimensionato nelle ambizioni e nello spirito, partito di maggioranza relativa in Parlamento ma letteralmente sputtanato dinanzi al suo elettorato, costretto a mandare giù bocconi amarissimi.
Discorso a parte per la Lega e il suo padre padrone, quel Matteo Salvini che con il 33% incassato alle Europee sembrava pronto a conquistare l’universo e invece si è fatto infilzare come un tordo. Un errore talmente assurdo, quello di aprire la crisi al buio senza garanzie sul ritorno al voto, che a molti appare oggi addirittura come cercato. Le trame di fantapolitica più spinta, infatti, favoleggiano che Salvini l’abbia fatto apposta per tornare all’opposizione, evitare di intestarsi una finanziaria lacrime e sangue, e generare un mostruoso nemico politico a due teste, una gialla e una rossa, contro cui combattere per costruirsi un clamoroso successo al prossimo appuntamento elettorale. Oddio, tutto è possibile, ma una mossa di questo tipo appare davvero troppo azzardata anche per il leader più egocentrico e sicuro di sé.
Comunque sia andata, è andata. E ora tocca ai nemici più acerrimi andare d’accordo. Pidioti e grullini dovranno smetterla di chiamarsi così e provare a governare insieme. Un obiettivo che non può prescindere da un’alleanza che venga declinata anche a livello territoriale, esprimendo candidati condivisi alle prossime elezioni regionali, a cominciare da quelle calabresi, che dovrebbero tenersi a gennaio.
A consultazioni ancora in corso, il segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti, ha già fatto il primo passo, dicendo che l’obiettivo è battere le destre. «Davanti a noi abbiamo elezioni difficili in Regioni diverse – ha sottolineato il presidente del Lazio -. L'Umbria tra poche settimane. Poi Calabria, Veneto, la Toscana. E l'Emilia Romagna. Dobbiamo fare ogni sforzo per costruire in ciascuna di queste realtà l’offerta politica e programmatica più credibile, anche naturalmente sul versante di alleanze che il nuovo quadro politico potrà favorire». Un giro di parole per dire che il Pd è pronto a replicare a livello locale lo schema nazionale.
In Calabria il concetto è stato rimarcato innanzitutto dal commissario regionale del partito, Stefano Graziano, che del Nazareno è una proiezione fedele: «Il governatore uscente si faccia da parte e ci consenta di imbastire l’intesa con il M5s». Insomma, i democrat non aspettano altro, consapevoli che dopo cinque anni di governo Oliverio, di inchieste, di arresti e di problemi irrisolti, dall’emergenza rifiuti allo sviluppo negato, nel centrosinistra ci sono solo cocci da raccogliere. Ma a fronte di questa fretta da parte del Pd di consumare un matrimonio ancora non celebrato da Mattarella al Quirinale, c’è la freddezza di un partner, i Cinquestelle calabresi appunto, che credono di poter tutelare una verginità che, invece, hanno già perso da un pezzo.
Nel silenzio imbarazzato che domina le fila di deputati e senatori pentastellati, si è alzata solo la voce di Laura Ferrara, che però siede a Strasburgo e non nei palazzi romani. Forse per questo è l’unica che ha trovato il coraggio di dire la sua, anzi di ribadire quanto aveva già affermato in precedenza, escludendo un’alleanza in vista delle regionali. «Vorrebbero creare per il Pd calabrese – ha sostenuto – una nuova credibilità politica attraverso il Movimento 5 stelle ma le nostre regole non sono cambiate. Non sono previste coalizioni con partiti politici ma solo ed esclusivamente con liste civiche pure».
Parole che però cozzano contro una realtà più grande e diametralmente opposta, nella quale gli sherpa di Di Maio e Zingaretti stanno scalando con successo la cima di un accordo che sino a un mese fa sarebbe stato bollato come un’eresia. Difficile immaginare una maggioranza giallo-rossa che si rassegni a consegnare al centrodestra, ricompattato nell’opposizione parlamentare, le Regioni che presto andranno al voto, tanto più che sono proprio i Cinquestelle ad avere ora un disperato bisogno del Pd e non viceversa. Se non vogliono essere definitivamente divorati da Salvini, che potrebbe dilagare in tutte le regioni al voto, non gli resta che bere l’amaro calice fino in fondo. E chissà che alla fine la medicina non faccia bene ad entrambi, ridimensionando da una parte quell’odiosa spocchia da “elevati”, e dall’altra quella ostinata ottusità del Pd capace di imbarcare sempre il peggio del peggio, portando finalmente un po' di pulizia.