«Ho sbagliato, non l’ho saputo fare visto che ho alzato la mano sinistra. Mi hanno riferito che, oltre agli esponenti del centro-sinistra, anche alcuni simpatizzanti di destra si sono risentiti. Insomma, ho preso schiaffi da tutte le parti». Nonostante l’accusa di aver risposto all’appello durante l’ultimo consiglio comunale reggino con un saluto fascista,  Lucio Dattola ironizza su quanto accaduto. 

 

Per il consigliere di minoranza di Forza Italia, candidatosi alle ultime elezioni contro Giuseppe Falcomatà attuale sindaco, la vicenda- finita anche sui media nazionali- è «una pura strumentalizzazione da parte del centro sinistra e del primo cittadino», il quale ha parlato di «vilipendio alle Istituzioni». Al di là dei toni ironici della prima parte dell’intervista che abbiamo realizzato con il consigliere comunale, finito al centro di una vera e propria bufera, lo stesso Dattola si mostra amareggiato e ferito da quanto registratosi durante l’ultimo civico consesso. «Ho risposto all’appello con questo gesto che mai avrei pensato potesse sollevare un caso. Io non ho commesso alcun reato, ci tiene a sottolineare, anche perché il reato non esiste se lo si riferisce all’accaduto. Questo è un tentativo della maggioranza di distogliere l’attenzione non solo dal “caso Zimbalatti”, ma anche dalle loro inefficienze». Nei giorni precedenti all’episodio infatti, l’assessore alla polizia municipale Antonino Zimbalatti ha commentato con una frase razzista un articolo legato al derby calcistico tra Reggina e Catanzaro, postato da un sito di informazione locale. “Fundamu i zingari”( ossia “affondiamo gli zingari”) recitava il commento. Un commento di cui Zimbalatti ne ha disconosciuto la paternità dichiarando «il mio account social è stato violato da un hacker e che lui non ha mai avuto nessun pensiero o idea razzista». Dattola minimizza. Non solo perché, a suo avviso, il gesto non ha i connotati del saluto romano, avendo alzato la mano sinistra e non la destra ( con cui solitamente si esegue), ma anche perchè «non ho evocato il Duce, o Hitler o Franco, né avevo con me un manganello o l’olio di ricino. Non avevo alcuna intenzione bellicosa, è ovviamente una strumentalizzazione. La verità- chiosa- è che non riuscivano a trovare il modo per attaccarmi in maniera forte in previsione della campagna elettorale».

«Hanno voluto colpirmi come essere umano»

Ritornando alla vicenda Dattola, la maggioranza, appellandosi anche alla violazione della legge Fiano - mai entrata in vigore e che voleva introdurre il nuovo reato di propaganda del regime fascista e nazista - ha votato un ordine del giorno in cui è stato chiesto all’avvocatura civica e alla segreteria comunale di verificare se il consigliere comunale abbia commesso, o meno, il reato di apologia di fascismo. Contestazioni che Dattola non solo rispedisce al mittente, ma di cui si sente amareggiato. «Non c’è nessun reato, ma comunque mi sento ferito da questo. Anche perché a noi della minoranza- ha sottolineato il consigliere forzista- non ci hanno dato neanche cinque minuti per poterci confrontare, circostanza che solitamente avviene, e il consigliere comunale che lo ha letto in maniera pomposa, ossia Rocco Albanese, che ne è stato anche l’estensore, mi ha deluso. Da Falcomatà me lo aspettavo, perché da lui mi aspetto di tutto, ma da Albanese e dagli altri che lo hanno votato no. Lo hanno votato in modo convinto, perché non posso credere che siano tutti “servi sciocchi” del sindaco. 

Falcomatà: «Non credo alle sue parole»

Il primo cittadino fin dal primo momento ha stigmatizzato l’episodio affermando che si tratta di un «gesto gravissimo, inqualificabile e inaccettabile. Ancora più grave perché accaduto all’interno dell’aula del consiglio che è la massima assise democratica». Neanche la versione fornita da Dattola è riuscito a fargli cambiare idea. «Io credo ai miei occhi e alle mie orecchie e non alle parole che come si suole dire sono “la pezza peggio del buco”. Avremmo di gran lunga apprezzato- sottolina il sindaco- un mea culpa, un dire “ho sbagliato” per quel gesto che a noi evocano la pagina più buia vissuta dal nostro Paese». Per quanto riguarda invece, il “caso Zimbalatti”, il primo cittadino “tende una mano” al suo assessore in merito al presunto accesso di terzi sul suo profilo social. Due pesi e due misure? Fatto sta che entrambe le vicende, per come sono nate e per come si stanno evolvendo, non solo preannunciano un clima rovente in riva allo Stretto come sfondo alle prossime elezioni, ma rischiano di allontanare sempre di più i cittadini dalle Istituzioni, su cui tutte le parti politiche troppo volte si erigono a paladini e protettori pur non essendo privi di colpe o negligenze.