Splende il sole, in questa pazza fine di ottobre, su Palazzo San Giorgio. Giuseppe Falcomatà fieramente fa il suo ingresso dalla porta principale – uno dei suggerimenti appena tornato ieri mattina a Piazza Italia è stata chiedere di aprire le porte laterali – e sfoggia un sorriso di quelli che non si vedevano da un po' di tempo.

Riprende in mano il lavoro lasciato a metà nel suo secondo tempo interrotto dalla sospensione subita, e cancellata dalle carte processuali con la sentenza della Corte di Cassazione. Rientra quindi né da condannato né da “prescritto”, ma addirittura da assolto.

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«È una grandissima soddisfazione. Nessuno di noi ha mai smesso nemmeno per un minuto di credere alla bontà della giustizia, alla trasparenza delle decisioni che avrebbe preso la magistratura, e allo stesso tempo eravamo convinti della legittimità del nostro operato e sapevamo che prima o poi questo sarebbe stato affermato. E la gioia di questa assoluzione piena, in parte e in qualche modo, mi fa recuperare dalle tante amarezze di questi ventiquattro mesi. Mesi molto difficili, mesi molto duri, mesi molto intensi che hanno messo a dura prova me e la mia famiglia. Ma anche la città. Perché con la sospensione del sindaco in qualche modo è tutta la collettività che viene sospesa perché viene privata del primo cittadino che democraticamente è eletto per rappresentare i propri bisogni, le proprie istanze, per dargli mandato e la responsabilità di migliorare la qualità della loro vita. Quindi interpretiamo questo che è accaduto nel modo migliore possibile, e cerchiamo di trarre migliori lezioni, migliori insegnamenti prima di lasciarcelo alle spalle e tradurre tutto questo in un nuovo inizio per la città». A Roma, il sindaco ancora sospeso ci è andato insieme a tutti quelli che erano coinvolti nel processo Miramare. La tensione si tagliava col coltello.

Sappiamo che ci sono stati anche momenti di emozione, ma dopo la comunicazione della sentenza a chi l’ha comunicato per prima?
«Ho chiamato prima mia moglie, poi ho chiamato naturalmente mia madre e poi ho chiamato mia sorella. Sono state le prime tre telefonate, interrotte. Perché mi ero ripromesso di non emozionarmi, di non commuovermi, però non si riescono a controllare le emozioni, per fortuna aggiungerei, e quindi erano telefonate un po’ interrotte anche dalla commozione anche delle persone al telefono».

Anche a caldo in qualche maniera ha voluto rendere pubbliche le difficoltà vissute non solo a livello personale, ma anche dalla sua famiglia. Da queste parole si capisce bene che la famiglia è stata importante per superare questo momento di difficoltà personale, e collettivo standole vicino…
«Quando succedono queste difficoltà ci sono due strade: le famiglie si possono disgregare o possono trovare maggiore unità ancora, quindi fare scudo rispetto alle difficoltà che provengono dall’esterno. Per fortuna la mia famiglia che nel corso degli anni anche quando ero più piccolo di difficoltà di cattiverie ne ha affrontate tantissime, ha sempre trovato dentro di sé la forza per non solo rimanere unita ma per unirsi ancora di più. Ed è successo anche in questo caso»

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