Una chiacchierata in esclusiva nell'aprile del 2000 al porto di Reggio Calabria durante la campagna elettorale per le regionali in presenza dell'ex Presidente della Repubblica. Ecco come andò
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Fino a quel momento Silvio Berlusconi era stato per me un enigma: non capivo se fosse semplicemente un imprenditore con un’etica attaccata ai numeri o se per lui gli ideali politici avessero un senso oltre la nuda tattica. Non capivo neanche se la malattia della politica lo avesse contagiato davvero o se, come accade per molti, la politica non fosse il mezzo privilegiato per ottenere il più afrodisiaco di tutti i doni: il potere. Quel momento a cui mi riferisco è il mese di aprile del 2000, il luogo è il porto di Reggio Calabria, la location è una nave da crociera, anzi “Azzurra, la nave della libertà”, che Berlusconi aveva messo in campo – pardon in mare – per la campagna elettorale delle regionali del 2000. Una campagna che piazzò Forza Italia al 25,1% fece conquistare al centrodestra Lazio e Abruzzo nonché la Calabria con Giuseppe Chiaravalloti che batté sul filo di lana il candidato del centrosinistra, Nuccio Fava, dato per favorito. Una vittoria di Berlusconi che portò alla caduta del Governo D’Alema, ma questa è storia.
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Ero su quella nave non perché fossi un sostenitore di Berlusconi, ma da inviato del quotidiano per il quale lavoravo come cronista politico. Per una di quelle coincidenze del destino – o più probabilmente perché ero considerato un giornalista non esattamente schierato con Forza Italia – mi ritrovai seduto in un elegante salotto della nave della libertà con Paolo Guzzanti, Silvio Berlusconi in persona e l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, più la persona responsabile della comunicazione che aveva organizzato il tutto. Intervista esclusiva a me come rappresentante della stampa calabrese (immaginate la furia degli altri giornalisti e delle testate locali e nazionali, che da lontano osservavano circoscritte dall’imponente servizio d’ordine). Evitai di chiedere come mai mi avessero scelto per paura che qualcuno mi dicesse “scusi, ci siamo sbagliati”.
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Rompe il ghiaccio Cossiga e mi accorgo che Berlusconi ha l’atteggiamento di un prete che si trova davanti al Papa. Soggezione è una parola sbagliata, direi più ammirazione e timore reverenziale. Cossiga parte con un’accurata dissertazione della differenza tra “menagramo”, “iettatore” e “vindice”, riassumibile nella raccomandazione di non prendere mai un aereo con il menagramo perché porta sfortuna anche a se stesso, mentre lo iettatore è colui che porta male agli altri. Il vindice, invece, è colui che è ha la capacità di maledire gli altri (l’aereo potete prenderlo anche con lui). Tutto questo perché “Azzurra la nave della libertà” aveva trovato mare molto mosso e in qualche caso tempesta lungo tutto il suo tragitto elettorale e non si comprendeva chi potesse aver ordinato, intenzionalmente o no, una tale quantità di sfortuna.
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Poi Berlusconi mi chiese di partire con l’intervista e io lo feci. Un’ora, mentre tutti gli altri aspettavano tra i mugugni e in qualche caso proteste vibrate. A ogni domanda una risposta puntuale, precisa, argomentata. Arroganza zero: lo contestavo a volte, ma lui calmo replicava e argomentava mentre io annotavo nel mio taccuino. Ogni tanto si introduceva Guzzanti con qualche domanda, giusto per “riequilibrare” il mio ardore. Quando finimmo, Berlusconi e Cossiga si spostarono in una saletta dove finalmente fecero confluire gli altri colleghi e partì una conferenza stampa. Le proteste per l’esclusiva data a me furono subito sedate da Cossiga che raccontò nuovamente la storia del menagramo e dell’aereo. Prima che scendessi dalla nave Berlusconi mi salutò in modo affabile, così fece Cossiga e così fecero tutti i componenti del suo staff. Il mio ego stava lievitando in modo preoccupante, per cui corsi subito in redazione prima di decollare nei cieli reggini e perdere la concentrazione. Ottenni due pagine intere di intervista e ovviamente l’apertura in prima pagina, nonché la gloria fugace di un giorno riservata a chi pensa di aver fatto qualcosa di simile a uno scoop (non lo era, ma un’esclusiva così poteva valerlo). Il giorno dopo uscii da casa alle sei del mattino per ritirare le copie del giornale appena arrivato. Non trovai più, negli anni successivi, un uomo o una donna, impegnati in politica a quei livelli, così rigorosi e pazienti nel rilasciare interviste, senza supponenza o saccenza. Eppure Berlusconi in quel momento era una delle personalità più potenti in Italia e nel mondo.
In questo momento non mi tornano in mente gli scandali, le paure di derive autoritarie, i conflitti con la magistratura e i rapporti ambigui. Mi viene in mente un uomo che poco più di 23 anni fa era stato per un’ora a rispondere alle domande di un cronista locale come se rispondesse alle domande del direttore del New York Times. È in questo suo rigore, in questa sua capacità di stare ai livelli del popolo nonostante le ville in Sardegna e i festini, che si colgono il senso e la capacità di costruire consenso e ricchezza senza generare troppa invidia sociale. Spesso non ho condiviso le sue idee e le sue scelte, ma mi dispiace che non ci sia più. Penso che la destra e la politica italiana avrebbero bisogno di uno come lui a occupare la parte moderata e liberale dello schieramento politico, possibilmente senza più scandali e conflitti tra poteri dello Stato. Ancora oggi non ho risposto alla domanda: Berlusconi aveva in testa ideali politici forti oltre ai numeri e all’esigenza di potere? Ma mentre concludo questa sorta di coccodrillo in onore del Caimano, posso affermare con certezza che Berlusconi per tanti anni ci ha fatto quantomeno sorridere: la politica oggi non riesce a fare neanche questo.