Tanto rumore per le Province. Come dire: tanto rumore per nulla. L’elezione dei presidenti e il rinnovo dei Consigli provinciali di Catanzaro e Vibo Valentia, dà ancora una volta la misura della distanza che in Calabria separa la politica dai cittadini, ai quali delle Province, di queste Province, importa meno di zero.
O, per meglio dire, importerebbe, se contassero ancora qualcosa, se facessero ancora qualcosa, se significassero ancora qualcosa. Invece, l’unica rilevanza che conservano è per la politica, la solita politica che parla una lingua tutta sua, che trama sottobanco e si vende al migliore offerente, che si perde nei meandri di logiche che sfuggono totalmente a chi la mattina si alza per andare a lavorare o per sbarcare il lunario in qualche modo.

 

La riforma Delrio, che avrebbe dovuto abolire gli enti intermedi, era legata a doppio filo al referendum costituzionale. Perso quello, le Province sono rimaste in mezzo al guado, senza un soldo e ma con residuali e importanti competenze (strade, scuole, manutenzione del territorio) che però non possono svolgere per manifesta incapacità finanziaria. Se le scuole non sono sicure e restano senza riscaldamenti e arredi, se le strade sono piene di buche, se il territorio si sgretola e i reati ambientali continuano a essere perpetrati impunemente, è buona colpa delle Province dimezzate.

Eppure alla politica fanno gola lo stesso, e poco male che i cittadini non votino più per eleggere il presidente e rinnovare i consigli, per i quali, è bene ricordarlo, vanno alle urne soltanto i consiglieri comunali dei singoli territori. Elezioni di secondo livello, si chiamano. In realtà sono l’esaltazione massima dell’inciucio, del fine che giustifica i mezzi, dell’autoreferenzialità di una classe dirigente che da decenni se la canta e se la suona senza chiedere a nessuno se la musica piace.

 

Succede così che a Catanzaro il Pd, con Ernesto Alecci, perda ma spacci la sconfitta per una straordinaria vittoria, solo perché è riuscito a ridimensionare l’avversario di Forza Italia, Sergio Abramo, convincendo nottetempo alcuni a disertare, spingendosi addirittura a interpretare il voto ponderato (dove uno non vale uno, ma vale tanti) come autentico sentire dei cittadini.
Succede che a Vibo il Pd si castri da solo per far dispetto alla moglie (chiunque essa sia), votando senza dirlo il candidato del centrodestra, Salvatore Solano, pur di affondare l’unico che potesse ostentare le insegne democrat, il sindaco di Arena Antonino Schinella.
Succede che i vincenti in entrambe le Province, quelli di Forza Italia, nonostante la batosta dei franchi tiratori, esaltino le due affermazioni come "storiche" (nientemeno) frutto di "una squadra straordinaria" (aridaglie) anche se poi è in quella stessa squadra che è maturato il ridimensionamento di Abramo. Più limpida, invece, la vittoria di Giuseppe Mangialavori a Vibo, che dopo l’elezione a senatore e l’affermazione del suo sindaco a Tropea gioca ad asso pigliatutto.

 

Ma resta la domanda di fondo. A chi importa tutto ciò? La risposta è la stessa della premessa: solo alla vecchia politica, che in Calabria ancora non ha fatto i conti con il successo travolgente di Lega e Cinquestelle, che ancora pensa di poter prescindere dagli elettori come se fossero orpelli inutili, che già guarda alle regionali come se fosse una questione tutta interna alla solita alternanza calabrese, una volta a me e una volta a te. Sbagliano.
Chi crede di avere già la vittoria in tasca alle Regionali farebbe bene a farsi un bagno di umiltà, perché le elezioni provinciali non sono state un test, una prova generale di quello che accadrà alla fine del 2019, ma soltanto la solita alchimia politica che rischia di evaporare miseramente al primo vero confronto con i cittadini.


Enrico De Girolamo