L’eurodeputato di Fratelli d’Italia non si nasconde: «Tanti hanno votato a favore, miopia non capire cosa sarebbe successo: ora facciamo fronte comune con gli altri paesi del Mediterraneo»
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«Adesso bisogna fare attenzione e scegliere bene i prossimi passi, perché gli spiragli per Gioia Tauro e per gli altri porti europei non sono moltissimi. Servirà fare rete tra parlamentari e fare le mosse giuste per evitare un vero e proprio tracollo sul sistema logistico italiano ed europeo». Parola di Denis Nesci, l’europarlamentare europeo che lancia l’allarme su quanto sta succedendo a Gioia Tauro.
Nei giorni scorsi, infatti, si è diffuso l’allarme circa le pesantissime conseguenze che l’introduzione di un nuovo meccanismo europeo, l’ETS, potrebbe avere sui porti europei del Mediterraneo: tra questi il più colpito potrebbe essere proprio Gioia Tauro, che rischia di perdere competitività a danno dei porti africani di Port Said e Tangeri rischiando un vero e proprio fallimento.
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L’allarme di Nesci: «Pochi spiragli per Gioia Tauro»
Nei giorni l’ammiraglio Agostinelli, presidente dell’Autorità Portuale, si era detto “confidente” che la situazione potesse trovare una soluzione positiva: «Il governo nazionale e regionale, che ringrazio - aveva spiegato Agostinelli - hanno capito la gravità del problema e stanno lavorando per trovare una soluzione in tempi brevissimi attraverso moratorie o eccezioni».
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Stando a quanto dichiara Nesci, però, la situazione non pare essere affatto così rosea: «Bisogna parlare il linguaggio della chiarezza e spiegare, bene, a che punto siamo. Innanzitutto, non c’è più spazio per presentare emendamenti o altro: l’iter legislativo si è chiuso il 18 aprile con il voto in plenaria sulla direttiva, io e il mio gruppo abbiamo votato ovviamente contro ma in tanti, anche italiani, hanno votato a favore non avendo forse chiare le conseguenze di quello che poteva succedere».
L’europarlamentare, a Bruxelles nelle file di Fratelli d’Italia, non usa mezzi termini per presentare la gravità della situazione: «Nonostante non sia presente nelle commissioni e non abbia quindi voce diretta in capitolo nella situazione specifica, insieme al mio capogruppo abbiamo scritto ai commissari di Ambiente e Trasporti per sollevare le questioni ed evidenziare le contraddizioni di questa direttiva, chiedendo di valutare una riapertura delle discussioni».
Ma come si è arrivati a questo punto, c’è stata una miopia da parte delle forze politiche?
«Questa direttiva parte con il Governo Draghi, il lavoro viene da lì, e poi arriva all’approvazione di aprile. Insieme al governo abbiamo provato a fare un importante lavoro di sensibilizzazione ma non è bastato».
Cosa bisognerà fare quindi adesso?
«Guardi, io sto incontrando associazioni, osservatori, perché il problema va affrontato insieme ma bisogna anche essere chiari: gli spiragli per salvare Gioia Tauro sono pochissimi, sono ridottissimi. Ci possono essere ipotesi di revisione, ma bisogna capire se la strada è percorribile: al momento, però, dobbiamo attenerci a quello che è stato votato e quindi in queste condizioni non solo Gioia Tauro, ma cinque porti europei non saranno più competitivi e verranno spazzati dal mercato».
Come si è potuti arrivare a questo punto? Pensa sia stato sottovalutato il problema?
«Io ho sentito anche l’autorità portuale nei giorni scorsi, registro con piacere il fatto che sia confidente che si trovi una soluzione ma io non sono così ottimista, devo essere onesto. Non so perché non ci si sia mossi prima, forse l’Autorità Portuale aveva studi che non erano aggiornati sull’impatto economico e sulle date per poter intervenire. La data del 18 settembre che è circolata, ad esempio, riguardava solo la raccolta di pareri e mozioni di associazioni, non era una data in cui intervenire con emendamenti o altro. Ho parlato a lungo con Agostinelli ma adesso il problema ha una prospettiva diversa e bisogna intervenire in quest’ottica».
Quale?
«Questa direttiva ha un impatto su tutto il paese, un cambio di rotta degli armatori produrrà un danno enorme all’intera Italia, non solo alla Calabria. Dobbiamo fare un lavoro di sistema, come fanno gli altri paesi, e superare le difficoltà e le differenze votando insieme. Nelle altre nazioni quando si devono tutelare gli interessi nazionali ci si mette insieme e si prova a trovare una quadra, noi non riusciamo a farlo. Adesso dobbiamo andare oltre, creare un fronte unico con i parlamentari spagnoli, portoghesi, greci, con la stessa presidente Metsola (uno dei porti interessati è La Valletta, ndr), per lavorare sulle contraddizioni della direttiva ed infilarci per portare avanti le nostre istanze. Abbiamo una data limite, il 31 dicembre, perché dal giorno dopo il sistema sarà operativo e non potremo più fare nulla».
Lei è fiducioso?
«Lo devo essere per forza: non posso pensare che sia una battaglia persa e non posso sperare nella solidarietà dei paesi del nord che ad esempio non hanno interesse a risolvere un problema che non tocca loro. Stiamo lavorando sulle contraddizioni della direttiva e se uniamo il fronte possiamo riuscire: però, bisogna anche parlare il linguaggio della verità. Attualmente il destino di Gioia Tauro è quello che dal 1 gennaio la direttiva entra in funzione e quindi non sarà conveniente utilizzarlo. Al momento, siamo a quello: se riusciremo a cambiarlo non lo so, ma il rischio e le ricadute non solo sulla Calabria ma sull’intera Italia sono troppo grandi per non tentare la sfida».