Il segretario non ha detto una parola sulle dimissioni dell'ex candidato governatore. Su cui il partito aveva puntato tutte le carte senza concedere le primarie. Intanto continuano le faide interne e il correntismo. E a settembre si torna al voto
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Non è un bel tacere, quello di Nicola Zingaretti. Sono passati circa dieci giorni dalle dimissioni di Pippo Callipo, ma il segretario del Pd non ha ancora trovato il tempo (o non ha proprio voglia) di dire una parola che sia una sul passo indietro del “re del tonno”, a dir poco clamoroso.
L'imprenditore vibonese – che ora aspetta solo il voto dell'assemblea di Palazzo Campanella, chiamata a ratificare il suo gran rifiuto – non è un consigliere regionale qualunque: è, formalmente, il capo dell'opposizione, nonché l'uomo su cui il centrosinistra calabrese, su input (anzi: diktat) del Pd zingarettiano, ha puntato tutte le sue carte alle ultime Regionali, poi stravinte dalla coalizione guidata da Jole Santelli.
Il sostegno convinto al “re del tonno”
Se Zingaretti si fosse mostrato fin dall'inizio perplesso rispetto alla candidatura di Callipo, il suo silenzio attuale avrebbe certamente fatto meno rumore. Ma così non è, dal momento che il (poco amato, secondo l'ultimo sondaggio del Sole 24ore) governatore del Lazio aveva perfino piazzato la sua immagine di segretario di partito davanti a una scatoletta di tonno gigante nello stabilimento di Callipo a Maierato, per poi tornare altre volte in Calabria per sostenere la campagna dell'ex numero uno della Confindustria regionale.
E con quale enfasi. Per farsi un'idea, è sufficiente riprendere le dichiarazioni rilasciate da Zingaretti nel giorno di chiusura della campagna elettorale (24 gennaio), trascorso al fianco di Callipo e non accanto all'emiliano Stefano Bonaccini, giusto per ricordare quanto il Pd avesse investito nelle Regionali calabresi.
«Pippo – spiegava il segretario – mi ha catturato con una frase, è il candidato giusto»; «per i calabresi è meglio Pippo Callipo che quell'accozzaglia di differenze che si mette insieme sempre per la gestione del potere»; «è il simbolo di quella Calabria che combatte, che ha combattuto e sarà un ottimo presidente»; «perché votare il Pd? Innanzitutto i calabresi devono votare Callipo e poi quel partito che insieme a Pippo ha fatto una grande scommessa di rinnovamento, di rilancio, di difesa della dignità calabrese e di lotta alla 'ndrangheta senza se e senza ma e di libertà».
Via Oliverio, ecco il «rinnovamento»
Insomma, non si può certo dire che Zingaretti non abbia scommesso, e tanto, sul “re del tonno”, anche in considerazione del fatto che, per candidarlo, il partito nato dalle ceneri del Pci ha uccellato il “suo” stesso presidente uscente, quel Mario Oliverio che, con suo sommo scorno, da dirigente di lunghissimo corso ha infine dovuto cedere il passo a un “civico” – dalle neanche troppo nascoste simpatie di destra – che, nel 2010, con la sua candidatura alla presidenza, contribuì ad affossare il centrosinistra di Agazio Loiero.
Eppure, malgrado l'iniziale appoggio incondizionato a Callipo – dal quale sono derivate ulteriori lacerazioni per un Pd già balcanizzato e sotto commissariamento –, quando l'imprenditore ha deciso di gettare la spugna, Zingaretti non ha sentito il dovere di dire alcunché, magari proprio a quegli stessi 245mila elettori calabresi che hanno votato la coalizione di centrosinistra anche perché persuasi proprio dalle parole del segretario.
Nessuna dichiarazione su Pippo
Non che Zingaretti sia rimasto in silenzio per tutto questo tempo, tutt'altro. È intervenuto su ogni trend topic: dalle regole per igienizzare le mani al tempo del Covid al Decreto Semplificazioni, dal cordoglio per la scomparsa di Ennio Morricone alle infinite polemiche sulla «scissionite» (copyright del vice segretario dem Orlando) che affligge il Pd.
Però su Callipo, le cui dimissioni hanno fatto discutere anche a livello nazionale, nemmeno mezza sillaba. Non si sono distinti per zelo neppure i due plenipotenziari di Zingaretti in Calabria, il commissario Stefano Graziano e il responsabile per il Sud della segreteria nazionale, Nicola Oddati, che pure avevano lavorato in prima linea per rendere concrete le direttive del segretario circa la candidatura di Callipo e il niet alle primarie (volute da Oliverio).
Se il secondo ha replicato pari pari il silenzio del suo dante causa, il primo si è invece cimentato in un maldestro tentativo di far finta che l'addio dell'imprenditore alla politica fosse un evento come un altro. «Prendiamo atto delle motivazioni che lo hanno indotto alle dimissioni ma gli chiedo di ripensarci», ha detto Graziano, che ha pure annunciato la volontà di chiedere al gruppo pd in Consiglio di votare contro (risposta mai arrivata), come se in questo modo si potesse convincere Callipo a restare e perdipiù mascherare un fallimento che da elettorale si è trasformato in politico.
Le scuse di De Masi
Nessuno ha chiesto scusa. Almeno, nessuno del Pd. Perché l'unico che ha sentito il dovere di fare mea culpa davanti ai calabresi è stato il più grande sponsor civico di Callipo, l'imprenditore e testimone di giustizia Nino De Masi, il quale – pur rappresentando soltanto se stesso – ha implicitamente ammesso l'errore e chiesto «perdono» agli elettori.
Zingaretti ha invece preferito concentrare quasi tutti gli sforzi sulle solite (e sterili) diatribe interne. E i motivi hanno a che fare con una leadership sempre più zoppicante.
I tweet e le polemiche
L'ultimo sondaggio di Bidimedia, che attesta il Pd al 21,4%, è stata l'occasione per una nuova faida, nata dopo il commento al vetriolo di Orlando, secondo cui «senza tre (dicasi tre) scissioni il Pd sarebbe pari alla Lega. Ai volenterosi dirigenti del Pd che sollevano obiezioni sulla leadership del partito, consiglierei di orientare meglio i loro strali».
Immancabili le reazioni: del sindaco di Bergamo Giorgio Gori («pensa il Psi: se nel '21 non avesse subìto la scissione di Livorno a quest'ora dove stava...»), di Matteo Orfini («peccato però che per rincorrere Salvini chiudiamo i porti e sequestriamo le persone in mare esattamente come lui»), di Carlo Calenda («me ne sono andato da solo perché ritenevo l'alleanza con i 5S mortale per i riformisti. Era la posizione unanime del Pd»).
Ecco, in questo caso Zingaretti ha ritrovato la favella: «Grazie ad Andrea Orlando che ha detto la verità. E anche se c'è chi si diverte a criticare solo noi e non la destra, noi non arretriamo (…) Qualcuno aveva altri obiettivi e continua a picconare dal salotto di casa con i tweet, ma hanno fallito e continueremo a combattere con la nostra gente non per “parlare" di cambiamento, ma per realizzarlo».
Lo stesso cambiamento vagheggiato con la candidatura di Callipo? In ogni caso, secondo molti osservatori, proprio queste schermaglie via social rivelano la fragilità della segreteria del Pd, da cui dipenderebbe anche il silenzio sulle cose calabresi.
I retroscena
«Il silenzio di Zingaretti sulle questioni regionali è frutto di un evidente imbarazzo, ma è anche tattico», commenta un alto dirigente del partito, convinto che il fratello di Montalbano abbia preferito non prendere posizione sul caso Callipo perché deciso a «organizzare la sua corrente in tutta Italia».
Il segretario, per puntellare la sua leadership, sarebbe perciò al lavoro per creare una propria area di riferimento. Per farlo, ha però bisogno di truppe numerose, anche in Calabria. «E affrontare le dimissioni di Callipo, con tutti i risvolti del caso, potrebbe inimicargli tanti dirigenti e militanti», mormora chi sta seguendo da vicino il nuovo corso del partito.
Meglio il silenzio, allora. Anche perché, assicurano i bene informati, finora i tentativi di organizzare una corrente solida «stanno ottenendo scarsi risultati».
Ma stanno anche creando nuovi e inediti scontri, generati proprio dal verminaio calabrese. In questo senso, assume un valore tutto particolare l'incontro sul decreto Rilancio dello scorso 25 giugno a Lamezia, organizzato dal consigliere regionale Luigi Tassone e dall'ex deputato Bruno Censore e al quale ha preso parte lo stesso Oddati.
«Al di là delle dichiarazioni ufficiali e del contenuto dell'incontro – spiega un esponente del Pd calabrese – quella tavola rotonda ha certificato il passaggio dell'area vibonese nella nuova corrente di Zingaretti».
Se le cose stanno davvero così, Orlando non l'avrà presa affatto bene, visto che Tassone e Censore sono (erano?) due dei pilastri dei suoi Dems in Calabria.
E le Comunali incombono
Quello che conta è la supremazia nel partito, il resto viene dopo, inclusa l'organizzazione delle prossime elezioni comunali in città importanti come Reggio Calabria e Crotone.
Le rispettive federazioni provinciali, del resto, sono commissariate da illo tempore, come la stessa segreteria regionale. Già, la segreteria. Graziano si era insediato promettendo la rapida celebrazione del congresso.
È passato più di un anno, con in mezzo il voto del 26 gennaio, ma ancora i militanti dem non sanno quando potranno tornare a votare per scegliere i vertici del loro partito.
Le dimissioni di Callipo sono dunque solo la manifestazione più evidente della crisi di un Pd senza bussola né governance definite.
Zingaretti non è certo obbligato a dire qualcosa di sinistra, ma sulla Calabria qualcosa dovrebbe pur dirla.
bellantoni@lactv.it