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La polemica è degna del lunedì al bar sport. Anche se a scatenarla non sono due tifosi qualunque che difendono i colori della propria squadra, ma due politici di primo piano in Calabria che hanno rivestito, e rivestono, ruoli istituzionali che forse meriterebbero altri e più alti profili. Il primo è Giuseppe Scopelliti, presidente della giunta uscente dimessosi anzitempo per la condanna rimediata nell’ambito del caso Fallara, scoppiato mentre era sindaco di Reggio Calabria.
Scopelliti che prova a tornare nell’agone politico con il Polo Sovranista presentato a Lamezia, insieme a Alemanno e Storace, alla richiesta di un giudizio sul suo successore alla guida della Regione ha detto: «Ho conosciuto la seria A con la Reggina, non mi occupo dei dilettanti».
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Il secondo, appunto, è Mario Oliverio, attuale governatore della Calabria. che, come un vero e proprio ultras, ha deciso di rispondergli per le rime. «Della serie A di Scopelliti non voglio conoscere neanche gli spogliatoi».
Aspettando che adesso il dialogo si estenda a valutazioni pregnanti sul colore delle maglie e sul calore del pubblico di casa, non rimane altro che prendere atto della sempre maggiore distanza che separa i politici e i cittadini e di quanto un certo tipo di dibattito politico sia lontano dai problemi e dalle esigenze quotidiane della gente affannata a mettere insieme i soldi per arrivare a fine mese.
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Ma soprattutto come un certo tipo di linguaggio, unito ad un numero di scandali senza fine che dovrebbe consigliare a tutti prudenza e moderazione, abbia finito con lo svilire il ruolo e la funzione delle stessi Istituzioni, ormai svuotate e diventate solo strumento per fare interessi di parte, quella che di volta in volta si aggiudica il derby delle elezioni, per l’appunto, senza nessun riguardo al bene collettivo della comunità.
E i consiglieri pensano alla loro pensione. E mentre il Pd si spertica in lodi per la “dovuta risposta” di Oliverio a Scopelliti, i consiglieri regionali di destra e sinistra hanno provveduto a depositare una proposta di legge sul sistema previdenziale dei nostri politici.
Non si tratta di un vitalizio, ma di un sistema pensionistico di tipo contributivo, “analogo a quello dei pubblici dipendenti” si legge nella relazione che accompagna la proposta di legge. Secondo il nuovo sistema che ricalca quello previsto per i parlamentari dopo l’abolizione del vitalizio. I consiglieri andranno in pensione al compimento di 65 anni di età e a seguito dell’esercizio del mandato per cinque anni. Per ogni anno ulteriore di mandato il limite cala a 60 anni.
Fin qui, oltre a sottolineare alcuni odiosi privilegi, si potrebbe anche non aggiungere altro. La legge prevede così per il Parlamento e molte Regioni si sono regolate allo stesso modo.
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Il problema è all’interno della relazione tecnico-finanziaria. E’ prevista una quota dell’indennità a carico del Consiglio regionale, pari al 24,20% dello stipendio mensile dei consiglieri. Il che comporta una spesa ulteriore di euro 562.795,20. La stessa cosa avverrebbe per il Tfr, con la quota a carico del Consiglio pari a 101.062,20 euro all’anno. Un totale di 663.857,40 euro all’anno a carico delle provate casse regionali per garantire la pensione ai consiglieri regionali.
Si tratta di una semplice proposta di legge, sottoscritta da 20 consiglieri in maniera assolutamente bipartisan, e ancora dovrà essere passata all’esame delle Commissioni e poi del Consiglio. E con il clima che si respira difficilmente passerà in questi termini. Ma certo è anch’essa esemplificativa di cosa le istituzioni sono diventate per la politica.
Riccardo Tripepi