È il reato dei colletti bianchi. Quello dei politici che pur senza far parte di una organizzazione criminale, senza seguirne metodi e stili di vita, usano il loro potere per favorirle. È il reato che punisce le zone grigie della collusione, dove il contributo alla mafia arriva da chi mafioso non è. È il concorso esterno in associazione mafiosa, che il Guardasigilli, l’ex magistrato Carlo Nordio, voleva a tutti i costi “rimodulare” nella sua riforma della Giustizia, che da mesi scompiglia la maggioranza senza neanche essere arrivata in Parlamento. Dentro c’è la stretta sulle intercettazioni, l’abolizione del reato di abuso d’ufficio e i cambiamenti sul traffico di influenze illecite. Ma il concorso esterno, sembra, non ci sarà.

A mettere il punto sulla questione, che ha scatenato le ire delle opposizioni prima e della Magistratura poi, facendo scendere in campo anche Maria Falcone, sorella del giudice fatto saltare in aria dalla mafia a Capaci, è stata proprio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la cui principale attività degli ultimi giorni sembra essere mettere una pezza sulle dichiarazioni dei suoi ministri. «Sul tema del concorso esterno io comprendo benissimo sia le valutazioni che fa il ministro Nordio, sempre molto preciso, sia le critiche che possono arrivare», ha detto Meloni. «Mi concentrerei su altre priorità» ha chiuso, mettendo, pare, la parola fine alle intenzioni del suo Guardasigilli, le cui continue uscite contro i magistrati stavano mettendo in imbarazzo non poco la premier proprio a pochi giorni dalle commemorazioni per la strage di Via D’Amelio, l’evento che, come racconta da sempre, l’ha spinta ragazzina a fare politica, nel nome di quel Paolo Borsellino che fin dalla nascita è la figura di riferimento di Fratelli d’Italia. 

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Ancora una volta contesa tra l’iniziale spinta legalitaria del suo partito e il berlusconismo di ritorno della sua coalizione, Meloni ha parecchie beghe da tenere a bada proprio in tema Giustizia tra un presidente del Senato con un figlio indagato per stupro, un ministro invischiato in condotte a dir poco scorrette con i lavoratori delle sue aziende e con il Fisco e un sottosegretario a processo per rivelazione di segreto.

L’abolizione del concorso esterno in associazione mafiosa, no. Non è proprio il momento per Meloni di assecondare l’ossessione forzista per la Giustizia. È il reato che tiene ancora in carcere Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia del governo Berlusconi ed ex coordinatore di Forza Italia in Campania, con una condanna appena confermata in Cassazione a 10 anni perché referente politico dei casalesi, potente e sanguinario clan della provincia di Caserta che lo ha sostenuto per tutta la sua inarrestabile ascesa politica. Lui era il ponte tra la camorra e le più alte istituzioni della Repubblica. È il reato per il quale è stato condannato a 7 anni con sentenza definitiva l’ex senatore e braccio destro di Berlusconi Marcello Dell’Utri, perché «garantendo la continuità dei pagamenti di Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore, ha consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante (…) alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale, del suo programma criminoso». Con i cambiamenti che il ministro Nordio sperava di inserire nella riforma, accusano le opposizioni, Cosentino avrebbe potuto uscire di prigione e Dell’Utri avrebbe riavuto la fedina penale pulita.

A beneficiarne sarebbe stato anche Giancarlo Pittelli, avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia arrestato nel 2019 nell’operazione Rinascita-Scott e sotto processo proprio per concorso esterno. Per lui, il procuratore di Catanzaro Gratteri ha chiesto una condanna a 17 anni di carcere per essere stato uomo «in grado di far relazionare la ‘ndrangheta con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università, con le istituzioni tutte, fungendo da passe-partout». Pittelli è imputato per lo stesso reato anche nel processo Mala Pigna, in cui è accusato di essere stato faccendiere dei Piromalli, veicolando informazioni all’interno e all’esterno del carcere.

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Nordio ha definito il concorso esterno in associazione mafiosa “reato evanescente”, perché «o si è mafiosi o non si è mafiosi», ma ha dovuto capitolare dopo le parole di Meloni. «Siamo e siamo sempre stati in perfetta sintonia», ha scritto in una nota all’indomani della doccia fredda inflittagli dalla premier. «La revisione del concorso esterno non fa parte del programma di governo e infatti non è stata da me nemmeno prospettata nel discorso alle Camere all’inizio del mio mandato. Le ricostruzioni fantasiose e talvolta maligne su nostri ipotetici dissidi sono vani tentativi di minare la nostra risolutezza nel portare a compimento le riforme sulla giustizia, secondo il mandato ricevuti dagli elettori, e sulle quali non vacilleremo e non esiteremo».