La partita adesso comincia davvero. La direzione nazionale del Pd, non senza registrare tensioni in ordine alla data, ha fissato le primarie per il 30 aprile e il termine per la presentazione delle liste per il 10. Dovrà adesso delinearsi il quadro dei sostenitori dei singoli candidati sui vari territori e, ovviamente, anche in Calabria. Il corpaccione dei renziani doc, guidati dal segretario Ernesto Magorno, non ha dubbi sulla collocazione.

 

Non ne ha neanche Carlo Guccione che, da tempo, ha abbracciato la causa del principale sfidante dell’ex premier e cioè il ministro della Giustizia Andrea Orlando.

 

A dover decidere dovrà essere il governatore Mario Oliverio insieme alla sua area autonoma, per come l’ha definita lo stesso governatore e di cui hanno diffusamente parlato sia la deputata Enza Bruno Bossio che il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Sebi Romeo. La tentazione di andare a sinistra, almeno quella superstite nel partito, è forte. Anche se poi si andrebbe ad occupare una posizione di minoranza, a discapito delle poltrone disponibili in vista delle prossime elezioni politiche. Dalle riviviscenza dello scontro sulla sanità e dal tenore delle ultime dichiarazioni rilasciate dal presidente della giunta e dai suoi si capisce che sull’orientamento finale potrebbe avere un peso consistente l’eventuale fine del commissariamento in Calabria.

 

C’è poi da capire cosa decideranno due ministri del governo Gentiloni del calibro di Dario Franceschini e del calabrese Marco Minniti. Al momento entrambi vengono dati con Renzi, ma dalla Capitale trapela che l’atteggiamento tenuto dall’ex premier sulla scissione e la sua voglia matta di andare al voto il prima possibile non abbiano fatto fare i salti di gioia a nessuno dei due.

 

Con Franceschini in Calabria ci sono Franco Laratta e il consigliere regionale Domenico Bevacqua, non a caso molto critici con la linea del partito calabrese e del governo regionale.

 

Minniti, invece, è il vero sacerdote del partito calabrese. Quello che ha tenuto insieme le cose anche quando nessuno ci avrebbe creduto. Un suo eventuale ripensamento sarebbe davvero clamoroso e avrebbe conseguenze molto importanti. Chiaro, dunque, che anche il futuro del governo Gentiloni avrà un peso nella partita con ministri e deputati che potrebbero anche cambiare orizzonte in relazione ad un’eventuale crisi di governo. Piero Fassino, non a caso, ha sottolineato come le primarie al 30 aprile facciano tramontare definitivamente l’ipotesi di un voto a giugno. Un messaggio chiaro per puntellare il consenso dell’ex premier tra ministri, deputati e senatori, con i loro seguiti sui territori. Almeno per il momento.

 

Riccardo Tripepi