Il candidato che sfida Maria Locanto alla guida della segreteria provinciale: «Rappresento un gruppo dirigente non riconducibile a 4 persone»
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Dopo Maria Locanto, è il turno di Antonio Tursi. Suo padre, Damiano, fu presidente della Provincia di Cosenza ad inizio anni ’90 ed apparteneva al Partito Comunista. Il figlio, a distanza di trent’anni, rivendica autonomia, una formazione culturale libertaria e di sinistra e ambisce ad occupare la poltrona di segretario del Partito Democratico di Cosenza. «Per forza di cose vogliono attribuirmi dei padrini – spiega -. Penso, tuttavia, che chiunque possa farsi un’idea da sé, considerato che nei giorni scorsi a Roma per conto mio non c’era nessuno a trattare. Non c’era bisogno, del resto, che qualcuno mi rappresentasse».
Tursi, lei si sente lo “sfidante”?
«Assolutamente no. Io sono l’espressione di un territorio, di tanti amici, di amministratori e di sindaci. Sono quindi l’espressione di un gruppo dirigente che non è riconducibile a quattro persone. Al massimo sfido una logica».
Quale?
«Quella che poche persone decidano nella Capitale ciò che deve accadere in Calabria, disconoscendo il fatto che il Congresso si terrà più a sud il 19, 20 e 21 febbraio e che non si sia tenuto nell’Urbe venerdì scorso».
Locanto dice che i vostri programmi sono in parte sovrapponibili. È d’accordo?
«Un anno e mezzo fa abbiamo lanciato 10 idee per un Pd controcorrente discutendole nei circoli e nelle assemblee. Le abbiamo veicolate e se sono diventate opinioni diffuse in tutta la nostra area di riferimento non posso che andarne fiero».
Il suo modello di Pd qual è?
«Il sociologo Ulrick Beck diceva che un partito deve avere radici e ali. Le radici di idee progressiste del ventesimo secolo vanno ora trasportate nel ventunesimo. Dobbiamo parlare a nuove soggettività».
Si vuole porre a tutela di chi, pertanto?
«Dei precari sul lavoro, ma più in generale dovremmo affrontare ogni situazione di precarizzazione di vita. Il Pd deve schierarsi ufficialmente, quindi un dibattito tra centro e sinistra deve essere realistico. Altrimenti restiamo in un campo prettamente nominale. L’altra questione è relativa ai migranti. Non sono un problema, è un fenomeno globale che va preso in carico ottimizzandone gli effetti».
Ha avuto l’endorsement di Mazzuca e Guglielmelli. Che lettura offre?
«Ci sta che possano sostenere la mia candidatura, così come anche altri lo faranno. In un mare grosso sfociano tanti fiumi e se ciò avverrà, risulterà decisivo tra qualche settimana».
Cosa vuol dire “tornare sui territori”? È una frase che riecheggia spesso in comizi e interviste.
«Faccio una premessa: non ho ruoli nel partito da anni. Detto ciò, se abbiamo registrato una desertificazione in seno al Pd, qualcuno ne porta la responsabilità. Maria Locanto, ad esempio, è stata sub-commissario: perché non ha lavorato sui territori? Io l’ho fatto con l’associazione “Controcorrente”. Con le persone bisogna parlare e capire cosa vorrebbero».
Che pensa dell’operazione “unità” condotta da Boccia?
«L’ha fatta con quattro-cinque persone. La sera stessa, però, alla consegna delle candidature dei circoli per i comuni con almeno 15mila abitanti si è palesata una balcanizzazione delle idee. Ci sono centri che hanno tre aspiranti segretari, mi chiedo dove sia l’unità».
Perché ritiene che si sia arrivati a ciò?
«Perché Boccia è sceso poche volte in Calabria. Quando è stato a Cassano, Corigliano o Castrovillari? Qualcuno avrebbe dovuto chiedersi, inoltre, perché la provincia di Cosenza ha circa 60 comuni senza circoli. Il grido d’allarme è stato ignorato».
Che unità vuole lei?
«Di un gruppo dirigente diffuso, ampliato. Non certo di uno composto da quattro persone».
Tra i suoi sostenitori ci sono anche i Riformisti di Mario Franchino che non ha gareggiato al Congresso regionale.
«Quando c’è una partita, ci sono delle regole da rispettare. La posta in gioco di questo partito, invece, mi pare siano le regole stesse. Ad oggi le pare normale che non ci sia l’anagrafe degli iscritti certificata e definitiva? Non esistono, inoltre, i collegi attraverso i quali si elegge l’assemblea provinciale. Quindi, queste regole sono ferree per alcuni ed elastiche per altri».
Il riferimento è a Graziano…
«Le cose sono due: o diciamo che il regolamento è stato fatto con i piedi e quindi ciò rende precaria l’elezione di Irto, o bisognava andare avanti con quanto stabilito a monte. Qui si cambiano le regole a partita in corso: i membri dell’assemblea provinciale, per esempio, erano 60 e ora vogliono portarli ad 80 giustificando la cosa che Cosenza abbraccia territori più ampi. Se ne sono resi conto dopo 2 mesi…».
Che si aspetta da Irto?
«La sua azione politica è stata compressa dalla tempistica. È una figura spendibile, ma si vive di azioni e su questo dovrà misurarsi».
Se non dovesse vincere il congresso, che contributo darebbe?
«Ci sarà sicuramente un’ampia area che si riconoscerà nella mia mozione. A prescindere, pertanto, continuerei a lavorare per riportare il Pd in mezzo alla gente e al fianco di essa».
E se vincesse?
«Quest’area di cui ho parlato sarebbe autonoma, ad iniziare da Roma. Il concetto, però, va esplicitato meglio».
Prego.
«L’autonomia a cui mi riferisco è propositiva e non rivendicativa. Dovremo essere in grado di andare a Roma non per decidere le sorti della Federazione di Cosenza, ma per dare un contributo importante alla linea nazionale. Questo ruolo il Pd calabrese non lo ha mai svolto, ma può farlo a partire dalla Federazione di Cosenza».
Non scavalca Irto dicendo così?
«Nel caso andremo insieme, siamo quasi coetanei del resto. Tra Cosenza e Lamezia laveremo in casa i nostri panni. Verso Roma si viaggerà solo per portare idee e spunti».