Dopo il disastroso esito delle elezioni il commissario regionale resta al suo posto, a dimettersi è solo il segretario provinciale di Catanzaro. La deriva delle classi dirigenti intermedie di questo partito ormai appare inarrestabile. Ecco cosa dovrebbe fare Letta per invertire la rotta (ASCOLTA L'AUDIO)
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Dopo la sconfitta elettorale del centrosinistra in Calabria, proviamo a delineare, seppur brevemente e schematicamente, le problematiche strutturali di un partito come il Pd che in qualche modo hanno accentuato le cause dell’ennesima sconfitta elettorale della sinistra (o di quello che rimane di essa) in Calabria, utilizzando per fare ciò alcuni esempi territoriali come indicatore della deriva organizzativa degli eredi della sinistra italiana e calabrese.
Prendiamo il caso di Catanzaro, la provincia che ha registrato la maggior fibrillazione di un partito (?) ormai fuori controllo. Il segretario della federazione Pd di Catanzaro si dimette come conseguenza del disastroso dato elettorale del Pd, al quale si aggiunge una deludente performance elettorale personale nella lista della circoscrizione centro.
Le sue dimissioni sono apprezzabili, soprattutto in un partito che colleziona disastri elettorali e politici da tempo e nel quale mai nessuno ha la decenza di assumersi uno straccio di responsabilità per queste sconfitte. Proprio per questo, ancor prima delle dimissioni del segretario Cuda, tutti si sarebbero aspettati le dimissioni di Stefano Graziano, il commissario regionale del Pd, ritenuto il maggior responsabile del disastro elettorale del centrosinistra in generale. E invece no, sono arrivate solo le dimissioni del segretario provinciale del Pd di Catanzaro. Per carità, ci stanno. Le scelte di Graziano portano anche la responsabilità dell’ormai ex segretario del Pd. Perlomeno, la responsabilità di una certa ignavia opportunistica.
Cuda era l’unico segretario provinciale del Pp eletto ancora in carica, il resto delle federazioni provinciali sono commissariate. Non vi è alcun dubbio sul fatto che, la doppia sconfitta elettorale alle regionali in meno di 24 mesi sia stato il frutto della disastrosa gestione commissariale di Stefano Graziano e, tuttavia, altresì, non vi è alcun dubbio sul fatto che, anche l’ex segretario provinciale di Catanzaro porti sulle sue spalle la responsabilità di una quota di questi disastri, se non altro, per avere accettato acriticamente tutte le strategie commissario regionale. La vicenda delle candidature proprio nella circoscrizione centro ne sono l’esempio emblematico.
Tuttavia, il gesto di Cuda sarebbe stato molto più apprezzabile se si fosse presentato dimissionario a un’assemblea provinciale aperta, provocando una discussione e una valutazione politica collettiva su gli errori di questi anni e che andasse oltre le poche righe di circostanza contenute nella sua lettera di dimissioni. Un’occasione persa per tentare di comprendere e rimediare agli errori commessi.
Chiaramente, la vicenda del segretario provinciale del Pd catanzarese, non è la causa, ma l’effetto della deriva delle classi dirigenti intermedie di questo partito. L’esempio plastico della distruzione del partito nei territori. I circoli del Pd in tutti i comuni della provincia di Catanzaro ma, oserei affermare, di quasi tutta la regione, sono entità scritte solo sulla carta. Alla testa di questi circoli vegetativi vi sono nomi e cognomi di segretari rappresentanti di se stessi e delle cordate dei loro capi corrente con le quali sono schierati. I tesseramenti sono prevalentemente falsi o comprendono al massimo la sfera dei loro familiari e la cerchia dei loro amici più stretti. Tutto ciò, finalizzato a mantenere saldamente nelle loro mani i simboli democrat.
Una rete di piccoli oligarchi di paese, detentori di qualche pugno di preferenze, i quali spesso fanno più danni dei loro capi corrente, e che condizionano le federazioni provinciali. Il segretario della federazione Pd di Catanzaro, come i segretari provinciali in tutta la Regione prima di lui, si sono limitati a garantire questo aberrante sistema e, magari, da quella postazione tentare di far carriera attraverso una candidatura.
Niente di più. Partecipazione zero. Elaborazione di contenuti e programmi, assente. È un partito quello calabrese costituito da cellule e circoli morti, redivivi solo nei periodi elettorali, e non tutti per la verità, ma solo quando il capo corrente di riferimento è interessato. Una classe dirigente intermedia assolutamente inadeguata ad affrontare una battaglia politica tesa a sciogliere i nodi di fondo della crisi e della struttura dei democrat.
Il sistema è simile nel resto del Paese, magari in maniera meno accentuata in alcune zone, ma è in Calabria che esprime il punto di degenerazione più accentuato. Pensate che il segretario del Pd di Catanzaro era stato eletto segretario nel 2017 con il 95,58% di preferenze alle primarie (3.440 voti), solo 159 voti ottenuti dal suo competitor Ernesto Palma. Un tale plebiscito, chiaramente, non fu determinato da un riconoscimento alle sue doti politiche, ma semplicemente perché in quella fase, garantiva meglio capi e capetti del territorio provinciale e regionale democrat. Sostanzialmente offriva più di altri la garanzia di non disturbare i manovratori, ovvero, i capi bastone regionali e nazionali del partito del Nazareno.
Tali dinamiche scandiscono la “vita” di questo Pd in tutta la regione e, forse, in tutto il Sud. Negarlo sarebbe un esercizio di ipocrisia inutile. A Catanzaro senza il segretario, ora a gestire la transizione del Pd sarà il presidente dell’assemblea provinciale, quel Michele Drosi, ex sindaco di Satriano, ex collaboratore di Loiero, ex collaboratore di Oliverio e suo biografo, fino a quando decise di schierarsi con Amalia Bruni piuttosto che con l’ex governatore democrat. Una pezza peggio del buco. Il Pd, se vorrà riprendere una funzione e una credibilità nella società calabrese dovrà affrontare e riformare radicalmente l’organizzazione del suo radicamento territoriale, estirpare il malcostume delle correnti, ma soprattutto dovrà radicalmente cambiare il sistema di reclutamento dei proseliti se vuole aprirsi alla società.
Se Enrico Letta ha veramente intenzione di lanciare questi nuovi strumenti di partecipazione come le agorà, dovrà rifondare dal basso questo partito, mandando a casa tutti i segretari di circolo, azzerando e centralizzando il tesseramento, e telematizzando l’adesione, togliendola dalle mani di segretari di circoli inesistenti e ai vari capi rione territoriali. A quel punto potrà affrontare seriamente un congresso che non si riduca al seggio elettorale delle primarie, ma dovrà aprire una discussione collettiva e nazionale che affronti il tema della collocazione di questo partito, di quali ceti intende rappresentare e su quali tematiche intende radicare una nuova organizzazione profondamente rinnovata. Ma questo è un altro discorso.