«La presenza all'interno non solo del Consiglio direttivo ma anche dell’Ufficio di presidenza consente di vedere ogni situazione più da vicino e anche di essere più presente a quelli che sono non solo i tavoli di coordinamento interni ma anche i lavori preparatori che poi porteranno il presidente Manfredi, insieme al Consiglio direttivo a confrontarsi direttamente con i ministeri».

Reduce dell'assemblea dell’Anci che ha rinnovato i suoi vertici eleggendo Gaetano Manfredi alla guida dell’Associazione, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, rimane nel Consiglio direttivo e dell’ufficio di presidenza. Cambia, anche radicalmente, la materia delegata al primo cittadino reggino che fino all’altro ieri si era occupato squisitamente di questioni che attenevano soprattutto al Sud - la delega era al Mezzogiorno ai Beni confiscati e alle Politiche di coesione – e che da oggi con la delega ai Servizi pubblici locali abbraccia tutti gli ottomila comuni italiani.

E non ci sarà tempo da perdere visto che già nei prossimi giorni c’è da discutere delle esigenze dei Comuni rispetto alla prossima legge di bilancio. «In questo senso, a proposito anche dei servizi pubblici locali, non è sicuramente una buona notizia l'annuncio del taglio dei trasferimenti statali ai Comuni. Cosa che è ricominciata l'anno scorso e che non avveniva da otto anni. Ma soprattutto è una cosa che porta un grosso danno ai Comuni, ma che non porta nessun beneficio al bilancio dello Stato perché i trasferimenti ai Comuni incidono nel Bilancio dello Stato per meno del 2%. Quindi su questo, e l’ho già fatto in Anci, chiederemo una riflessione in più al Governo».

Non è sfuggito a nessuno che anche per questa tornata la testa dell’Anci sia rimasta al Sud…

«È un riconoscimento al Mezzogiorno in una fase storica nella quale il Mezzogiorno combatte una battaglia che è anche una battaglia del Paese. Mi riferisco naturalmente all'autonomia differenziata. Veniamo dalla presidenza Decaro, che ha fatto fare un grande salto in avanti a livello di importanza, autorevolezza, credibilità e peso dell'Anci nel confronto con il Governo, e continuiamo con una presidenza che procederà sullo stesso solco perché Gaetano Manfredi è il sindaco di una grande città del Sud ma soprattutto è una persona che ha una autorevolezza riconosciuta a livello nazionale».

Ma oggi quanto pesa il ruolo dei sindaci nelle decisioni del governo?

«Pesa nella misura in cui ancora i sindaci sono unanimemente riconosciuti come il principale se non l'unico punto di riferimento per una comunità e per la cittadinanza. Lo abbiamo ascoltato da tutti, e in particolare dal presidente Mattarella che ha ancora una volta ribadito, con le sue parole ma soprattutto con la sua presenza all'assemblea dell'Anci, quanto siano importanti i primi cittadini per una città e per la crescita di una comunità».

Il futuro

Per Falcomatà naturalmente la fine della sua esperienza da sindaco – tra un anno e mezzo almeno, a meno di interventi governativi – non dovrà coincidere con la fine di tutto quello che ha costruito in questi dodici anni. «Sarebbe miope pensare di dover guardare soltanto alla fine del mandato. Noi abbiamo messo in campo strumenti di lunga programmazione e sarà una bella soddisfazione poi vederla realizzata anche a distanza. Io naturalmente me lo auguro e noi lavoreremo perché ci sia una continuità politica e amministrativa che non si chiamerà Falcomatà, ma che sarà un'amministrazione di centro sinistra di un'area progressista che continui ad avere quella visione e quell'idea di città».

Come si sta approcciando al fatto che, in assenza di un forse improbabile terzo mandato, non potrà più candidarsi alla guida della città?

«Sicuramente ci sarà un po' di malinconia, probabilmente perché - dodici anni nel 2026 - è un pezzo importante della mia vita spesa da sindaco, e prima da consigliere comunale. Insomma è un qualcosa che prescinde dall'aspetto strettamente istituzionale. Qualcosa che davvero riguarda la tua vita e insomma sono contento di stare dedicando le mie giornate in un impegno che è la cosa più bella che possa fare chi è impegnato in politica. L'impegno per la propria città».

Molti sindaci ormai decidono di fare il grande salto, passando dalle esperienze amministrative nei Comuni ai governi regionali. Significa che la politica sta cercando sempre di più “l'uomo del territorio”? È questa anche la sua aspirazione?

«Io credo che oggi la politica si renda conto che uno dei modi, non l'unico sicuramente, per arginare il fenomeno di disinteresse alla partecipazione alla vita politica degli elettori, sia quello di far sì che i cittadini si sentano rappresentati da qualcuno che possa portare avanti un progetto politico. Perché qui non stiamo parlando di leaderismo o di uomo solo al comando. Sono esperienze che per fortuna non appartengono più neanche alla storia del nostro Paese. Qui stiamo parlando di un impegno all'interno di istituzioni democratiche che dev'essere rappresentato da proposte credibili. E le proposte credibili devono essere tenute insieme. Devono essere rappresentate da persone, personalità, politici, rappresentanti istituzionali che già si sono misurati con dei livelli di governo o con dei livelli di amministrazione, che siano riconosciuti».

Eppure spesso non è così…

«Il candidato imposto dall'alto, il candidato costruito in vitro mi verrebbe da dire, sicuramente in questa fase non è quello che un cittadino chiede ai propri rappresentanti di partito o comunque vorrebbe, per chi non si rivede in nessun partito. Il cittadino vorrebbe alla guida del proprio Comune, Città metropolitana, Regione, ancora di più del proprio Paese, una persona conosciuta e riconosciuta. Quindi questo ritorno dei sindaci a impegni a un livello istituzionale più alto è il frutto anche di questa riflessione, e vale sia per la destra che per la sinistra, perché noi abbiamo Bucci sindaco di Genova che diventa presidente di Regione, Michele De Pascale sindaco di Ravenna che diventa presidente dell'Emilia Romagna, la sindaca di Assisi che diventa presidente della Regione Umbria. E abbiamo, immagino, anche i nostri rappresentanti al Parlamento Europeo, che hanno questo passaggio intermedio, di cui non mi sorprenderebbe un loro impegno alle prossime elezioni regionali sia in Puglia che nelle Marche, ma anche nella regione Toscana e nella Lombardia. Mi riferisco naturalmente ai sindaci De Caro, Ricci, Nardella e Gori. Naturalmente è chiaro che questa è una cosa della quale i partiti si stanno accorgendo».

Crede che il centrosinistra della Calabria sia in linea con questa riflessione che sembra restringere la competizione interna?

«Quello che io mi auguro è che nel percorso per la scelta del candidato presidente alla Regione Calabria, i partiti della coalizione progressista, della coalizione di centro sinistra, tengano la linea che è stata tenuta anche nelle altre regioni, e per altre regioni. Dopodiché se si chiama Falcomatà o si chiama in un altro modo, credo che sia abbastanza prematuro dirlo. Però è il metodo di scelta del miglior candidato possibile, e che peraltro ha dimostrato di essere un metodo vincente e mi auguro possa essere rappresentato anche in Calabria. Dopodiché è chiaro, io sono un uomo di partito. Lo ribadisco. Fiero e orgoglioso di appartenere alla comunità del Partito Democratico, e starò dentro quel percorso perché io sto vedendo anche ultimamente cambi di casacca, ritorni a casacche precedenti, insomma sono cose che sono ben lontane dal mio modo di vedere e vivere il partito. Quindi è importante starci. Io ci sono. Sono come si suol dire a disposizione del mio partito. Sono contento anche del fatto che a tutti i livelli di partito sia regionale che nazionale si stia ribadendo la necessità che il candidato venga scelto sul territorio, e quindi consultando la comunità calabrese e poi insomma vediamo, staremo un po' attenti».

Quindi sindaco Falcomatà lei è già in corsa nella scelta per l’alternativa ad Occhiuto?

«Io sono e sarò felice, e lavorerò per questo, che sia la migliore scelta possibile per la Calabria. Cioè che sia la migliore scelta possibile, affinché il centrosinistra ritorni alla guida della Regione e quindi sia la scelta migliore possibile per i calabresi».

Il campo progressista, che fu già campo largo, crede possa avere un futuro più solido con la svolta contiana al Movimento 5 Stelle?

«Mi pare di sì, mi pare che questo sia nei fatti. Quello che è successo al Movimento 5 Stelle, la svolta che sta dando il presidente Conte va esattamente nella direzione di eliminare quelle ambiguità di fondo che ci sono state fino a oggi. Quindi che si chiami a raccolta il Movimento e si decida di inserire all'interno dello Statuto una appartenenza chiara, netta e convinta al campo del centro sinistra, al campo progressista, mi pare che sia la condizione principale per fare in modo che tutte le sfide si affrontino con la consapevolezza che c'è un quadro di una coalizione che parte dall'essere dal sentirsi coalizione unita di centro sinistra».