Oggi si riunisce il Parlamento in seduta comune. Meloni vorrebbe l'inventore del premierato ma i numeri non ci sono e forse ci sarà uno slittamento. Il 12 novembre la Corte costituzionale dovrà decidere sui ricorsi presentati da 5 Regioni contro la riforma
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È diventata improvvisamente un banco di prova per il Governo, una battaglia che metterà alla prova le truppe. L’elezione del nuovo componente della Corte costituzionale, dopo otto tentativi andati a vuoto, diventa un punto di snodo per questa legislatura.
La premier Meloni ha il nome in tasca, ma non i voti. Il nome è quello del costituzionalista che ha “inventato” il premierato, Francesco Saverio Marini. Un profilo bruciato dalla fuga di notizie partita dalla chat dei parlamentari di Fratelli d’Italia e finita sui giornali. Una mossa che ha fatto evaporare il blitz che aveva in testa la Meloni.
Così le opposizioni si sono organizzate. Pd e Avs non parteciperanno al voto, il M5s sarà in aula ma non ritirerà nemmeno la scheda per votare. Affinché l’elezione sia valida servono i voti di tre quinti del Parlamento riunito in seduta comune ovvero 363. La maggioranza ne ha a disposizione 355 a cui se ne aggiungerebbero altri cinque fra i transfughi centristi attratti dal centrodestra. Il resto dovrebbe farlo Antonio Tajani convincendo quelli del Svp a votare con la maggioranza. Bisogna però fare i conti con le assenze. Lo stesso Tajani è in Argentina, Fitto a Bruxelles, Giorgetti in Lussemburgo, Umberto Bossi resterà a casa. Il pallottoliere quindi si ferma ad uno o due voti sotto la soglia.
Questo non fa che irritare ulteriormente la Meloni che ha in testa un piano che qualcuno definisce “trumpiano” ovvero ricalibrare la composizione della Corte costituzionale verso destra. Questa, infatti, non sarà l’unica elezione per la Consulta. In dicembre scadono altri tre membri. Il centrodestra vuole metterci le mani sopra per questioni politiche. Il presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera, ha infatti fissato per il 12 novembre la discussione sui ricorsi di illegittimità costituzionale presentati da cinque regioni contro l’autonomia differenziata. Se arriverà una bocciatura sarà dura da far digerire alla Lega. Ma il vero problema sarà all’inizio del 2025 quando la Corte dovrebbe esprimersi sull’ammissibilità del referendum abrogativo della riforma Calderoli. È soprattutto lì che il Governo rischia molto perché in caso di vittoria del sì l’unico orizzonte possibile per la Meloni sarà quello del tutti a casa.
Il parlamento si riunirà alle 12,30. Negli ambienti della maggioranza si respira l’aria di uno scouting disperato per raccattare i voti necessari. In caso contrario la maggioranza per non bruciare Marini voterà ancora scheda bianca, per la nona volta.