L’aereo più pazzo del mondo è un film demenziale degli anni ’80. Per chi apprezza il genere, è un cult. Oggi, al Senato, è andato in scena un altro “film”, altrettanto demenziale: La crisi di governo più pazza del mondo. Mario Draghi ha ottenuto la fiducia da parte del Senato ma, in realtà, il Governo è caduto. Non a caso Enrico Letta, segretario nazionale del Pd, l’ha definita una «una giornata di follia». E, alla fine della fiera, questo è: follia pura.

In sintesi: abbiamo mandato a casa un premier che ci invidiava il mondo; con straordinario sprezzo del ridicolo abbiamo votato per tenerlo ma abbiamo argomentato con salda convinzione per mandarlo via; abbiamo giustificato il voltafaccia rivendicando la necessità di interventi a favore del popolo ma abbiamo votato contro quello stesso popolo che ora si ritroverà un esecutivo che potrà gestire solo l’ordinario, senza sconti sulla benzina, senza sostegno al reddito, senza voce in Europa. Una follia, appunto.

Il popolo del web, come si diceva una volta, alias i social schiumanti frustrazione e luoghi comuni, esulta. Fa caldo, governo ladro.
Eppure Draghi si è presentato al Senato per le sue “comunicazioni” pronunciando parole che nessuno, ma proprio nessuno, pronuncia mai sotto quella volta. Parole chiare, facilmente comprensibili, nette. Il suo discorso di aperura è stato un esempio di grande trasparenza: nessun giro di parole, nessun eufemismo, niente politichese. Draghi ha fatto un discorso alla Draghi. E il Parlamento imbottito di scappati di casa e venditori di fumo ha reagito.

Come osa, costui, ridicolizzare la nostra incoerenza elevata a principio, come osa metterci davanti all’evidenza della nostra insipienza? C’è mancato poco che Draghi a un certo punto cedesse al turpiloquio e invitasse tutti a procurarsi piacere da sé. Ma li ha mandati a quel paese lo stesso, con una breve ma fulminante replica alle corbellerie che erano state snocciolate per 12 ore, con il suo aplomb alieno alla fine insidiato e vinto dalla ineluttabile deriva italiota che prevale sempre e comunque.

In mattinata, nel discorso che ha aperto il confronto sulla fiducia in Senato, il premier aveva detto di non essersi mai sentito così orgoglioso di essere italiano come negli ultimi mesi, quando il Paese, retto da un governo di unità nazionale, ha dato prova di poter affrontare i marosi della pandemia e della guerra. Chissà se questo orgoglio resiste stasera, mentre forse ascolta in tv le concitate cronache politiche di una giornata di ordinaria follia tutta italiana, già messa all’indice dalla stampa internazionale e già punita dallo spread in salita vertiginosa. Intanto, all’orizzonte, statisti non se ne vedono.

Almeno quanto accaduto è servito a dimostrare ai complottisti un tanto al chilo che l’Europa e l’America, che tifavano per Draghi, non decidono nulla, che i “poteri forti” non ci hanno messo il giogo, e che alla fine restiamo sempre italiani, pronti a rinnegare ed appendere per i piedi chi fino al giorno prima osannavamo come duce.