I punti chiave dei ricorsi alla Corte costituzionale di Puglia, Sardegna e Toscana per bloccare la riforma Calderoli: «Cancella i principi di solidarietà ed eguaglianza». Zaia annuncia un controricorso: inizia la sfida tra governatori
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«L'Autonomia dev'essere cooperativa, equa e solidale: deve valorizzare le peculiarità delle Regioni, non aumentarne le differenze. Il ricorso va in questo senso: superare questa legge, nella quale ravvediamo profili di incostituzionalità, per arrivare a una che attualizzi il regionalismo voluto dai costituenti». Il presidente della Toscana Eugenio Giani riassume così i motivi per i quali la sua Regione ha scelto la strada del ricorso alla Corte costituzionale contro la riforma Calderoli. Sono tre i governatori già partiti sulla strada dello scontro con il governo davanti alla Consulta: oltre a Giani anche Michele Emiliano (Puglia) e Alessandra Todde (Sardegna) provano a smontare la legge. Sembra l’inizio di una “guerra” tra Regioni, visto che Luca Zaia, presidente del Veneto ha già annunciato un controricorso «perché le impugnative contro l’Autonomia ledono il Veneto e i diritti delle Regioni che la chiederanno».
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Il rischio di spaccare il Paese legando i servizi (e i diritti) alla capacità fiscale dei territori. L’eccessivo potere assegnato al governo, che potrà firmare le intese con le Regioni anche scavalcando il Parlamento. L’impossibilità di intervenire per redistribuire le risorse. I capisaldi dei ricorsi sono focalizzati su alcuni punti chiave. A partire dalle materie da “cedere”, considerate troppe. «Nel primo e terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione si usa l’espressione “forme e condizioni particolari di autonomia” che possono essere attribuite anche alle Regioni diverse dalle cinque ad Autonomia speciale — si legge nei ricorsi — invece nella norma impugnata si dà vita a uno Stato con poteri regionali paradossalmente anche più forti di quelle attualmente riconosciute come speciali».
Per i governatori contrari alla riforma, il ddl Calderoli «realizzerebbe semplicemente una forma di Stato nuova che lascerebbe al livello centrale meno di quanto generalmente gli è attribuito in ordinamenti federali senza, tuttavia, una serie di garanzie normalmente ivi previste la tutela dell’unità del Paese e del raccordo tra il livello centrale e periferici».
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Troppo potere al governo sulle intese con le Regioni
Per le Regioni un altro dei punti chiave è la discrezionalità data al governo nel definire le intese con le singole Regioni per la cessione delle materie. Nei ricorso della Toscana, secondo quanto riporta Repubblica, si fa riferimento all’emersione di «un disegno di powers shopping in virtù del quale ciascuna Regione può decidere di chiedere alcune o tutte le materie possibili, ottenendo da parte del governo una maggiore o minore adesione, anche in questo caso in modo del tutto arbitrario, non essendovi parametri di riferimento». Una discrezionalità che potrebbe vincolare le decisioni alla «maggiore o minore vicinanza politica» al governo.
Le intese, d’altra parte, scavalcano la Conferenza delle Regioni e lo stesso Parlamento: «Tutto avviene su iniziativa governativa — si legge nel ricorso della Sardegna — senza alcuna consultazione con le Regioni, neppure in sede di Conferenza». La legge impugnata relega in sintesi «il Parlamento ad un ruolo marginale a tutto vantaggio del governo».
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I Lep destinati a rimanere una scatola vuota
Altro (prevedibile) motivo di ricorso è la difficoltà per lo Stato di redistribuire risorse per permettere alle Regioni di erogare i servizi minimi previsti dalla Costituzione.
Il nodo sono i Lep, Livelli essenziali delle prestazioni, la cui definizione rischia di diventare un atto formale, una scatola vuota che lo Stato centrale non potrà riempire delle risorse necessarie ad assicurare pari diritti a tutti i cittadini. Ancora dal ricorso della Toscana: «Il presente motivo di ricorso censura il trasferimento delle funzioni solo previa determinazione dei Lep senza che questi siano però siano poi realmente garantiti».
Una legge che spacca l’Italia
Puglia, Toscana e Sardegna, poi, sono concordi nel sottolineare che la legge sull’Autonomia differenzia rischia di spaccare il Paese perché toglie allo Stato possibilità di eliminare i divari di cittadinanza. L’autonomia fiscale accoppiata alla cessione di materie e funzioni, chiude a ogni possibilità di perequazione tra i territori. La legge sceglie di «vincolare il reperimento delle risorse economico-finanziarie per l’esercizio delle funzioni trasferibili alla sola compartecipazione al gettito dei tributi erariali». Non prevede cioè «specifici correttivi» e «determina un’illegittima disparità di trattamento tra Regioni, in ragione della loro maggiore o minore capacità fiscale pro capite». Per questo deve ritenersi incostituzionale «per violazione dei principi di solidarietà ed eguaglianza».