Storico esponente del Msi, 86 anni, è stato consigliere regionale e parlamentare. In riva allo Stretto per tantissimi è ancora “u Senaturi”: «La mia ricetta è la coerenza». Sulla premier: «Meloni eccezionale, va avanti nonostante quelli che ha intorno». Su Vannacci: «Esprime concetti chiari, ma se lo prenderà la Lega». Su Bossi: «Dissi no alla sua devolution e mi cacciarono»
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Sempre uguale a se stesso. Sempre coerente coi suoi valori e disponibile ad aprire il suo scrigno dei ricordi che riserva una infinità di aneddoti e retroscena a volte indicibili. Renato Meduri mi accoglie con il cellulare in mano e le cuffie wireless all’orecchio. Mi fa accomodare nel suo salotto illuminato da un sole caldo di fine settembre e con una vista stupenda sull’aeroporto dello stretto e su quella lingua di mare che separa la Calabria dalla Sicilia.
Quando gli dico che sono andato a trovarlo per una chiacchierata sulla politica di ieri e di oggi, non mi fa terminare la frase: «Che vita bella che abbiamo fatto col Movimento sociale… era una poesia la nostra politica…».
Alfista convinto – ne ha una di colore rosso fuoco – Renato Meduri non può fare a meno di parlare della sua famiglia, dei suoi affetti, dei figli e dei nipoti, lontani da casa e con una vita tutta da scrivere ancora. Prende le foto in mano e le descrive una ad una. Tante vite in una vita.
Lui la sua l’ha vissuta e continua a viverla da protagonista, a suo modo. Alla stregua di un opinionista, un commentatore della politica italica e locale. Mattatore dei social, a 86 anni non ha peli sulla lingua. Non li ha mai avuti.
«Non ho vissuto il fascismo, peccato – dice con un sorrisetto quasi beffardo -. Probabilmente non sarei sopravvissuto per il mio carattere, ma ho vissuto intensamente una giovinezza eroica, perché allora gli scontri erano all’ordine del giorno, anche qui in città. Lo sa che sono stato sprangato all’interno di Palazzo San Giorgio? Ci avevano teso una trappola, un centinaio di comunisti, nella quale siamo caduti in pochi e disarmati. Allora mi accompagnò a medicarmi il senatore Barbaro, ultimo podestà di Reggio».
Alle spalle una gavetta politica, di quelle che oggi non si contano più, e che l’ha visto tra i protagonisti della Rivolta di Reggio del luglio 1970 al fianco di Ciccio Franco. Consigliere di quartiere, consigliere comunale, poi consigliere regionale, e infine senatore (eletto nel 1994, nel 1996 e nel 2001 con An). La sua carriera politica si è consumata praticamente tutta all’interno del Movimento sociale. «L’ho fatto a modo mio, fino a quando mi sono rifiutato di votare la famosa devolution di Umberto Bossi. Annunciai che senza una riunione di gruppo avrei votato in dissenso, e feci una dichiarazione di voto pesantissima, tanto che finì in lite («a scorcicoddu» dice letteralmente) una discussione con l’allora ministro della giustizia leghista. Poi mi chiamò Fini alla Farnesina, perché era ministro degli Esteri e mi disse che non mi avrebbe più candidato. E così fu. Dal 2006 in poi. Ma io sono questo. Anche perché non sono arrivato alla politica per campare di politica. Poi, evidentemente si. Mi avevano chiamato anche da Forza Italia per candidarmi con loro, ma ho detto no, perché per me il partito era come la famiglia. Mi hanno cacciato? Per me era l’ora di dire basta».
«Se ho una ricetta? La coerenza»
Anche senza tessera di partito, e senza candidatura, Renato Meduri rimane comunque un riferimento per la politica. A dozzine, e di schieramenti diversi, i politici o aspiranti tali che sono passati dal suo salotto per carpirne la benevolenza, il sostegno, o solo per un consiglio. Riuscendo a rimanere sulla breccia con una lucidità di analisi che in pochi possono vantare.
Gli chiedo se ha una ricetta, una regola, per rimanere per così lungo tempo sulla scena politica anche se non da protagonista attivo. D’altra parte, ancora per tantissimi è “u senaturi i Riggiu”. In assoluto.
Ma lui stringe le spalle. «Non ho una regola, uno schema da seguire, né tantomeno una ricetta di longevità. Forse è così perché sono stato naturalmente portato verso la politica, sin da ragazzo. Sono stato un leader giovanile. A quindici anni organizzavo gli scioperi del Liceo Classico, ma ero interessato seriamente alla vita della città».
Mi racconta la battaglia intrapresa per l’attribuzione della Corte d’Appello che Reggio perse dopo i tragici fatti del terremoto. Una battaglia politica ben prima della Rivolta, che si concluse con una “vittoria politica”, a cui partecipò tutta la città.
Dico che vorrei capire come è possibile che la politica e i politici siano cambiati così tanto nel tempo, sfornando spesso figuranti che appaiono e scompaiono nel giro di una legislatura. E qui mi spiega il suo credo.
«Oggi, ti incontrano per strada, e se hai la fama di essere un amicone, se hai tanti amici, se sei un medico con tanti pazienti o un avvocato di grido con molti clienti, a volte diventi consigliere anche in una notte. È il voto qualitativo che fa paura, sul piano culturale e degli ideali, perché si candidano indifferentemente in un partito o in un altro. La gente oggi appare e scompare, prima di tutto perché non ha ideali forti, fermi, solidi. Perché gli ideali si basano su dei valori che quando sono veri e sentiti diventano eterni».
«La famiglia è un valore eterno»
Valori e ideali rappresentano per Meduri un caposaldo irrinunciabile nell’ambizione di fare politica. Lo si capisce anche dall’analisi che offre rispetto alla polemica sorta attorno allo spot pubblicitario della Esselunga.
«Avete visto che polemica si è sviluppata a seguito della pubblicità della bambina che dà una pesca al papà per avvicinarlo alla mamma? Lì c’è la famiglia. Si è scatenata l’ira di Dio, perché oggi la famiglia non è più un valore eterno come lo è per me. Anche nella vita privata sono lo stesso, eterno, cultore di quei valori dei quali sono cultore nella vita politica».
«Mi attualizzo a differenza di molti altri» dice Meduri mentre il profumo di caffè invade il salotto. La moglie Teresa arriva al suono del tintinnio del cucchiaino. Si sono conosciuti nel luglio del 1961 e stanno insieme praticamente da 62 anni e mezzo. Il senatore lo dice con tanto orgoglio. Glielo si legge negli occhi.
Poi riprende, il suo discorso…
Divoratore di libri, che spesso regala, Meduri non è uno abituato a non metterci la faccia. Anche quando scoppiò la polemica sul libro del generale Vannacci, lui ha prontamente preso posizione. «Cosa dice Vannacci? Il libro è scritto con una semplicità disarmante con concetti chiari e assolutamente non presuntuosi. Per esempio il concetto di normalità che ha spiegato è un concetto elementare. In sostanza la normalità sono gli uomini che amano le donne, le eccezioni sono gli uomini che amano gli uomini e le donne che amano le donne. Non c’è niente di male, ma quella è l’eccezione che conferma la regola. Non è un concetto spregevole, anzi rispettiamo la diversità».
Sul caso specifico, ha però qualcosa da rimproverare alla destra: «A Vannacci gli è saltato subito addosso Salvini, e non sarà difficile che gli riesca, perché Crosetto ha fatto un intervento che avrebbero dovuto farglielo mangiare. Probabilmente non aveva letto neanche una riga di quello che ha scritto, e ha avuto una uscita infelice».
«Giorgia è una persona eccezionale»
A proposito della destra al governo, Renato Meduri non nasconde il suo debole per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni che definisce senza mezzi termini «una persona eccezionale, eroica ad andare avanti con quelli che gli stanno attorno».
«Il libro “Io sono Giorgia” spiega bene chi è il presidente del Consiglio. Quando l’ho letto mi sono rivisto nella mia militanza giovanile. Ho visto una persona che ha avuto le mie stesse esperienze e che come me ha provato a formarsi anche leggendo, militando sulla strada, col megafono, prendendo e dando bastonate. Nel suo libro fa riferimento a precisi autori, e si vede che li ha letti, è una donna speciale, non una qualunque. È una che ha le basi culturali solide. È una che opera in una società difficile accompagnata da una classe dirigente che non è quella che era la classe dirigente di Almirante. Questi sono dirigenti, anche laureati, che si sono formati a scuola, che non è più la scuola gentiliana che formava culture importanti. La scuola venuta dopo, quella dalla riforma Misasi in poi per intenderci, ha cominciato a dare i 6 e i 18 politici. È la scuola nella quale non solo non si può bocciare, ma si ricorre al Tar difronte ad un cattivo voto e si rischia seriamente di vincere».
Per lui, Caivano ha dimostrato cos’è la Meloni. «Cioè l’operatività, ed ha operato sui nostri valori di sempre, cioè la giustizia, il rispetto della persona, il rispetto dei valori di libertà e personali dell’individualismo, della famiglia».
«Quella del presidenzialismo è una riforma sociale»
Chiedo se nell’azione di governo rintracci elementi di quella Destra sociale su cui Giorgia Meloni ha sostanzialmente costruito la sua scalata a Palazzo Chigi.
«La tassazione dei super profitti delle banche non è un atto di Destra sociale? Ma la destra sociale si può esprimere al massimo, in una nazione che abbia un bilancio decente, noi invece abbiamo miliardi di debito pubblico e di deficit. Siamo una nazione che ormai opera all’interno di un’organizzazione europea che non è un’unione di popoli, ma di nazioni unite sotto lo sbergo dei banchieri. Cioè non puoi esprimerti in maniera libera sul piano sociale, perché devi dar conto all’Europa. Io sono convinto che dentro di sé la Meloni per quanto riguarda i migranti l’avrebbe fatto veramente il blocco navale perché siamo davanti ad una invasione, ma se vai a fare un movimento diverso ti saltano addosso. Diventa fascista. Come la bambina che dà la pesca al papà. Quindi lei deve avere la possibilità di svincolarsi un poco anche dalla pressione finanziaria. Noi siamo ancora schiavi».
Il senatore sottolinea anche come la Riforma in senso presidenzialista che vuole la Meloni sia una riforma di destra, una riforma sociale. «È una riforma che tende a riportare la sovranità nelle mani del popolo. Se tu pensi all’astensionismo elettorale, non può essere un caso. Fin quando sono stato eletto io c’era ancora il confronto tra i candidati anche dello stesso schieramento. Ormai non esprimi un voto libero, ma sei obbligato a votare la lista che prepara il partito di riferimento. Ma soprattutto non c’è più vita democratica nei partiti».
«Il decisionismo di Occhiuto? Ni…»
Il discorso scivola su Roberto Occhiuto e sulle strategie del presidente della Regione Calabria. Meduri non esclude che, anche in extremis, Occhiuto possa decidere di candidarsi alle prossime elezioni europee - «potrebbe essere un buon deputato europeo» dice – e quando argomentiamo del decisionismo che ha caratterizzato questa prima quasi metà del mandato il suo giudizio è in qualche modo sospeso.
«La Calabria, come qualsiasi altra Regione, ha bisogno di decisionismo, altrimenti facendo equilibrismi non si va molto lontano. Io non so quanto il decisionismo di Occhiuto potrà giovare a noi reggini. Probabilmente alla Calabria si, ma noi siamo Calabria? Noi siamo riconosciuti come Calabria? Il punto di domanda è questo. Noi siamo Reggio, perché non so quanto è Reggio di Calabria. È Reggio che ha sempre dovuto lottare, anche per le piccole cose. Dalla Corte d’Appello, all’aeroporto. Poi naturalmente più forte è la classe politica, più decisa è, e più risultati ottiene».
«Lui (Occhiuto, ndr), rispetto ad altri presidenti, parlo di Oliverio o Chiaravalloti, non c’è dubbio che sia migliore».
Ma è solo una tregua, perché poi Meduri rilancia: «Sull’aeroporto stiamo vedendo cose turche. Anche Occhiuto promette, e anche in vista delle elezioni europee ci ha annunciato l’accordo con Ryanair, ma fino al momento di questo decisionismo non abbiamo beneficiato di nulla, anzi, abbiamo visto predominare gli interessi di Catanzaro e Cosenza rispetto ai nostri. Questo grazie anche alla vacuità del parlamentare che non è tra l’altro neanche eletto a Reggio Calabria. Alle ultime politiche purtroppo ha preso anche il mio voto, perché io ho votato per Fratelli d’Italia e Giovanni Calabrese, rampollo di una famiglia di vecchi missini da sempre miei sostenitori, persone di grande dignità morale e politica. Ma io ho una disistima totale di Francesco Cannizzaro, lo puoi scrivere…».