È una lunga e appassionata difesa di un partito che non c’è (o forse non c’è mai stato), sostituito da un Pd «grazianizzato» in cui è in atto un vero e proprio «progetto politico di pulizia etnica», mentre tutti i dirigenti e rappresentanti dem di maggiore spicco restano muti.
Con parole durissime, l’ex consigliere regionale Michele Mirabello disegna i contorni di un congresso che sta implodendo su se stesso a causa di polemiche e tensioni che non sono certo cosa nuova a sinistra. Mirabello, dunque, firma una lunga nota, dove fa nomi e cognomi, difende l’aspirazione dell’ex governatore Mario Oliverio a rientrare a pieno titolo nel partito e si scaglia contro il silenzio di chi, a suo dire, dovrebbe invece parlare.

Ecco il testo integrale della sua inveterata: 
«Il ricorso depositato dalla mozione Cuperlo ed in discussione negli organi di garanzia, oltre ad evidenziare un diffuso malcostume ed una ripetuta violazione delle regole statutarie e congressuali pone l'accento su gravissimi problemi politici del pd calabrese che nessuno pare voglia affrontare con un minimo di coraggio ed onestà intellettuale. Un grande partito che aspira a recuperare il suo ruolo sul piano nazionale e, spero come tutti, regionale, possibile che sia popolato da gruppi dirigenti impauriti, anestetizzati, troppo impegnati a salvaguardare la propria collocazione per poter dire una sola parola su ciò che sta accadendo?

Un partito ancora "grazianizzato", in preda alla paura (di ritorsioni o di nonsocché), possibile che si affidi a dirigenti con storia, militanza, bagaglio culturale, chiusi in un incredibile mutismo? Pensavamo, pensavo, che il veleno instillato a dosi massicce nel corpo del Partito Democratico dalla "cura Graziano", un energumeno dai modi spicci e rozzi che ancora mena vanto di "aver fatto pulizia" in Calabria, potesse riassorbirsi con il tempo e con il buon senso di una guida giovane e fresca come Nicola Irto. Eppure niente di tutto ciò. Ad un anno dalla solo teorica "liberazione", anziché essere chiamati tutti al tavolo della paziente opera di ricostruzione, che proprio in questo congresso avrebbe potuto trovare il terreno migliore, ancora assistiamo alle stesse metodiche, allo stesso agire minaccioso e prevaricatore, alle stesse ingiustizie.

Come vogliamo altrimenti definire lo scempio del rifiuto della tessera a dirigenti di provata esperienza ed autorevolezza come Ciccio Sulla, Pino Belcastro, Domenico Voce ed un pezzo significativo del circolo di Cutro, e via dicendo in un triste elenco che ci porta dritti diritti alla vicenda abnorme di Mario Oliverio?
Uno scempio che si sta consumando, con la violazione di ogni regola, in un imposto silenzio generale, con metodi che si fa fatica a definire democratici.
Eppure su queste storie di estromissioni, di vere e proprie purghe dal sapore stalinista, in questa ridicola ed al contempo tragica repressione del dissenso, nessuno in questo partito ha il coraggio di parlare. Silenzio. Nessun commento.

Non parla ovviamente Irto, consegnato da un anno al totale silenzio sulle vicende del partito regionale, che pretende in privato di insabbiare, mentre in pubblico, come un disco rotto ripete il ridondante ritornello del partito "aperto, unito ed inclusivo". Non parla Iacucci. Men che meno si esprime Carlo Guccione.
Non si esprime Nicola Adamo, dirigente di lungo corso e mente notoriamente sopraffina. Non dice una sola parola -una- finanche Seby Romeo, plenipotenziario di Mario Oliverio durante gli anni in cui il Governatore era in gloria. Niente. Silenzio.

Parla Bevacqua, ma viene subito smentito. O forse no. Non si capisce bene. Allora al gruppo dirigente regionale del partito democratico, a figure autorevoli come quelle citate, e come molte altre, vorrei chiedere, pubblicamente. C'è qualcosa che non sappiamo?  O forse c'è un progetto politico di pulizia etnica che riguarda solo chi non si adegua alla nuova dottrina unanimista e abbassa la testa?

Cosa, o forse meglio, chi, in questa fase, che dovrebbe essere per definizione deputata alla ricostruzione ed alla rifondazione di un partito e della sua classe dirigente, decide chi ha diritto di cittadinanza nel Pd unito aperto ed inclusivo di cui blatera Irto e chi questo diritto non lo ha? Dove si decide, e con quali credenziali si accredita, chi può far parte a pieno titolo di questa comunità che si assume democratica? Mai avrei pensato, militando in un grande partito di sinistra, "aperto, unito ed inclusivo", di dover arrivare a porre questi interrogativi. Credo senza tema di smentite che un partito inclusivo ed aperto non possa prescindere dal riconoscere pieno diritto di cittadinanza a chi per storia, per cultura, per inclinazione naturale, è abituato le battaglie politiche a combatterle a viso aperto, senza ipocrisie».