Ieri i morti non c’erano più. Spariti. Cancellati. Dimenticati. Ma c’era Giorgia Meloni, quella originale, quella che milioni di italiani hanno mandato a Palazzo Chigi a guidare il Paese, quella che appare senza essere deformata dalle lenti dei media. «Feroce», l’ha definita Antonella Grippo nel corso della puntata speciale di Link che LaC Tv ha dedicato al Consiglio dei ministri straordinario che si è tenuto a Cutro. La premier e i suoi ministri non hanno ritenuto di dover omaggiare le salme in attesa di riposo eterno che ancora sono allineate nelle loro bare sul parquet del palasport di Crotone, tappa che è stata completamente esclusa dalla trasferta calabrese del Governo, come ha sottolineato con amarezza il sindaco Vincenzo Voce. L’attenzione del Consiglio dei ministri si è concentrata quasi esclusivamente sulla caccia agli scafisti, che Meloni ha promesso di inseguire «lungo tutto il globo terracqueo», inasprendo le pene e coniando nuovi profili di reato più gravi.

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La premier ha spazzato via ogni ombra di tensioni all’interno dell’Esecutivo, confermando piena fiducia al ministro Matteo Piantedosi e rinsaldando gli obiettivi anti immigrazione che Fdi condivide con la Lega di Salvini. Nei primi minuti della conferenza stampa che è seguita al Cdm, Meloni ha immediatamente tirato su l’architrave sul quale si sarebbe poggiato il suo messaggio nell’ora successiva, quanto è durato l’incontro con i giornalisti: «Se qualcuno pensa – ha detto – che i fatti del 26 febbraio ci abbiano indotto a modificare la nostra linea sul tema dell’immigrazione, sbaglia di grosso. Io credo che quello che è accaduto a Cutro sia la conferma, la dimostrazione che non c’è politica più responsabile di quella finalizzata a rompere la tratta degli scafisti». Da qui in poi è stato un crescendo di anatemi contro il presunto buonismo di chi, a suo parere, preferirebbe lasciare campo libero ai trafficanti di essere umani. Nessuna parola di cordoglio, nessun riferimento ai parenti delle vittime del naufragio del 26 febbraio che da quasi due settimane si aggirano come spettri sulla spiaggia dove sono approdati a faccia in giù i loro figli, le loro madri, i loro padri. E nessuna preghiera sussurrata nel silenzio di quella enorme camera ardente che è diventata il Palamilone. 

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Sfumato il clamoroso tentativo di trasferire tutte le bare a Bologna il giorno prima del Consiglio dei ministri per bonificare politicamente il contesto ambientale, Meloni si è limitata a disertare i luoghi del dolore, apparentemente senza alcuna remora. La più spaventosa strage di migranti in acque italiane, dopo quella di Lampedusa nel 2013, è stata derubricata dal Governo a una mera questione di codice penale. Poi, con le luci della sera che coloravano di giallo-paese la piazza di Cutro, ha stretto le mani, uno ad uno, ai poliziotti che l’attendevano schierati sull’attenti e, sorridendo, è andata via. È forse in quel momento che si è definitivamente fissata la distanza abissale tra Sergio Mattarella e la presidente del Consiglio. Il primo in commosso silenzio davanti alle bare sette giorni fa, capace di dare forma e contenuto al sentimento di cordoglio del Paese. La seconda – donna, madre e cristiana - che decide di tenere un Consiglio dei ministri straordinario nei luoghi della strage a due settimane dall’ecatombe, senza riservare a quei morti alcuna attenzione che potesse disorientare lo zoccolo duro del suo elettorato, quelli che sui social invitano chi osa richiamare principi di solidarietà e assistenza, fosse anche il Papa, a prendersi i migranti in casa propria.

Le cose decise a Cutro, potevano vararle anche restando a Roma, nella cornice di Palazzo Chigi, più consona a chi intende solo legiferare. Sarebbe stato più onesto. Venire, invece, in Calabria, senza versare una lacrima per quei morti, è stata una muscolare esibizione di cinismo politico che ha cancellato ogni traccia di empatia con la tragedia e che difficilmente avremmo potuto immaginare.