Unanime il giudizio entusiastico sul discorso di insediamento. Parole bellissime che però suonano anche come un rimprovero verso la scarsa capacità di incidere della classe politica che oggi ha applaudito 55 volte
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Strano paese l’Italia. Capace di spellarsi le mani in 55 (cinquantacinque) applausi durante il discorso di Mattarella definito unanimemente «bellissimo». Strano Paese, e non perché il discorso del “nuovo” Presidente della Repubblica non fosse davvero bellissimo e non meritasse quell’ovazione continua e incondizionata da ostentare rigorosamente in piedi. Bellissimo lo è stato davvero.
Strano Paese perché ad applaudire in preda alla frenesia della condivisione d’intenti c’erano tutti quelli che nell’ultimo decennio questo Paese lo hanno governato: da Renzi a Letta, da Conte a Salvini. E – incredibile ma vero - ancora lo governano. Invece sembrava che fossero atterrati sulla Terra proprio in quel momento, provenienti da un mondo alieno, giusto per sentire il Capo dello Stato pronunciare il suo bellissimo discorso di insediamento alle Camere riunite in seduta comune, ultimo capitolo di una elezione, quella per il Quirinale, che ha mostrato in maniera impietosa tutti i limiti di chi oggi lo applaudiva.
Eppure Mattarella ha detto cose “ovvie”, alle quali una classe politica matura e lungimirante avrebbe dovuto già provvedere da tempo: lotta vera alle disuguaglianze e alle discriminazioni di ogni tipo, a cominciare da quelle che fanno leva sul colore della pelle, sul numero di cromosomi X e Y o sulla quantità di banconote e carte di credito nel portafoglio.
Mattarella ha evocato «un'Italia più giusta, più moderna», «un'Italia che offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro per garantire la coesione del nostro popolo», «un'Italia che sappia superare il declino demografico», «che tragga vantaggio dalla valorizzazione delle sue bellezze», «un'Italia impegnata nella tutela dell'ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, consapevole della responsabilità nei confronti delle future generazioni», «un’Italia in grado di orientare il processo per rilanciare l'Europa».
La parola "dignità" scandita come un leitmotiv e ripetuta 18 volte durante il suo intervento. Dignità per i lavoratori, per le donne vittime di violenza, per un Paese che non può più sopportare il ricatto delle mafie e della corruzione.
Infine, ha sollecitato quella riforma della Giustizia che resta ancora solo una mera intenzione. Il Presidente della Repubblica ha chiesto con forza «un profondo processo riformatore» della magistratura e delle regole di giudizio, in risposta a quelle «pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini».
E tutti ad applaudire, e applaudire, e applaudire, in piedi, dall’inizio alla fine. Per rivendicare quei temi come propri. Tutti. Da destra a sinistra. Segno che le cose giuste non hanno colore. Ma non basta battere le mani una volta ogni sette anni per realizzarle.