Tra le principali richieste al Governo: la possibilità di fare più mandati e il diritto di opzione in caso di candidature al Parlamento
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La carica dei 600. I sindaci d’Italia – di ogni regione, a partire dalla Calabria – rivendicano i propri diritti. Perché anche ai sindaci bisogna riconoscere diritti, e non soltanto doveri. Al grido di battaglia “Dignità” hanno affrontato le temperature desertiche di queste ore per invocare un netto cambio di passo, a livello normativo, affinché vengano messi tutti (da quelli dei centri più grandi a quelli con meno di 5mila abitanti) nelle condizioni di poter amministrare senza il timore di dover incorrere, ad ogni piè sospinto, in qualche atto contrario ai doveri d’ufficio e beccarsi un procedimento penale senza neanche la consapevolezza di aver violato qualche legge.
Mancano risorse economiche e di personale. E tutto ricade sulle loro spalle. Anche il peso di atti adottati collegialmente. E così, al Governo chiedono appunto il rispetto della loro dignità di politici e amministratori. Dignità da ricondurre, ad esempio, a poche (4, per l’esattezza) ma significative richieste: lo stesso regime sanzionatorio applicato agli altri organi elettivi (leggi parlamentari); la possibilità per i sindaci sopra i 20mila abitanti di candidarsi al Parlamento esercitando poi il diritto di opzione; la possibilità per quelli fino a 5mila abitanti di fare più mandati e quella sino ai 15mila di farne tre; uno status giuridico ed economico adeguato alle funzioni e alle responsabilità ricoperte. Non l’immunità parlamentare, insomma. Ma almeno il minimo… sindacale. Ci sono altre due richieste specifiche, però, nient’affatto secondarie rispetto alle precedenti: la delimitazione delle responsabilità di esercizio o mancato esercizio del potere e la distinzione netta, per semplificare, tra gli atti di indirizzo politico e le responsabilità amministrative. Cioè: non è che per ogni omissione commessa anche dagli uffici i sindaci, a prescindere, debbano rispondere di tutto ciò che accade (o non accade).
Insomma, una serie di rivendicazioni che ha unito i primi cittadini da cima a fondo del Paese, passando da destra a sinistra senza dimenticare il centro, dai sindaci di Roma o Torino, a quelli di Palermo o Reggio Calabria per finire ai minuscoli centri di periferia con meno di 5mila abitanti. Un inciso, giusto per comprendere di cosa si sta parlando: nel 2010 Matteo Bianchi, sindaco di Morazzone (Varese) fu accusato di lesioni personali colpose a causa di un incidente occorso ad una cantante durante una serata organizzata dalla Pro Loco, quando le crollò in testa l'impianto luci. Fu assolto perché “il fatto non sussiste” nel luglio del 2017. Ecco, i sindaci chiedono che in casi del genere, nei loro confronti, non debba proprio aprirsi un processo…