«Il risultato in Calabria è stato disastroso, anche se c’è chi ha fatto peggio, come Campania e Sicilia». Ernesto Magorno, neo senatore e segretario regionale uscente del Pd, prova a guardare chi sta messo peggio. Ma è una magra consolazione di fronte a quel 14 per cento che fa contare 5 punti percentuali in meno rispetto al dato nazionale, il 19 per cento, che è già di per sé una disfatta.

 

Una sconfitta storica… di chi è la colpa?
«Mi sono già assunto la responsabilità politica del risultato calabrese. È un risultato pessimo, a fronte di un’avanzata enorme del Movimento 5 stelle in tutto il Mezzogiorno. Un successo, quello pentastellato, che trova radici in un disagio sociale ed economico che nel Sud è reale. Bisognava capirlo prima che ci sarebbe stato un voto non solo di rabbia, ma giustificato dalla debolezza delle condizioni sociali in cui versa il Sud».


Ecco, appunto, forse bisognava muoversi prima…
«Giovani laureati senza lavoro, anziani in difficoltà, famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese. Si tratta di una situazione complessiva di cui sinora non si è preso atto fino in fondo. La sconfitta ci costringe finalmente a farlo».

 

Lei è stato spesso additato come il garante di una nomenclatura di partito che viene da lontano, nonostante i continui richiami al cambiamento. È vero?
«Io vengo dal territorio. Ho fatto il consigliere comunale, il consigliere provinciale, il sindaco. La mia è la storia di una famiglia che si è messa in campo per difendere i più deboli. I miei valori sono quelli che mi hanno portato a iscrivermi al partito socialista nel 1975, quando avevo 14 anni. Se questo significa difendere la nomenclatura, allora chiamiamola pure nomenclatura».


Perché in Calabria il cambiamento è stato più difficile che altrove?
«Il cambiamento non è stato percepito in tutto il Meridione, ma i risultati del Partito democratico sono catastrofici dalle Alpi alle piramidi».


Eppure le promesse non sono mancate, soprattutto nella parte finale della campagna elettorale…
«Prima il governo Renzi e poi quello Gentiloni hanno messo in campo azioni di governo serie a favore del Sud, dalle infrastrutture alla lotta al precariato. Ma questo impegno non ha risolto la debolezza sociale che c’è nel Mezzogiorno. Le risposte date non sono state sufficienti e utili per avere la fiducia della gente, che io credo abbia deciso di dare legittimamente un segnale di discontinuità».


In Calabria, seppure tra alti e bassi, il suo rapporto con il presidente Oliverio è sempre stato abbastanza solido. Non ritiene che nella sconfitta del Pd calabrese ci sia anche una considerevole responsabilità del governo regionale?
«Credo che il governo regionale debba cambiare passo. Il segretario di un grande partito come il Pd, deve sostenere l’azione di governo del suo presidente. È quanto ho fatto. Ora, però, dopo quello che è accaduto tutti devono assumersi le proprie responsabilità e soprattutto chi governa deve mettere in campo politiche e azioni che diano immediate risposte ai cittadini».


Il congresso dovrebbe tenersi a maggio. Sino ad allora continuerà a guidare il partito o è previsto un reggente come è stato deciso a livello nazionale con l’incarico affidato a Maurizio Martina?
«La situazione regionale è diversa. In Calabria il mio mandato è già scaduto. L’assemblea regionale, convocata per il 19 marzo, indicherà la data del congresso. Io ho suggerito il 13 maggio, ma la parola finale spetta all’Assemblea. Alla direzione del partito, invece, tocca nominare la commissione che guiderà il partito al congresso. Sarà questo organismo collegiale a reggere le sorti del Pd Calabria in attesa che venga eletto il nuovo segretario. Nelle altre regioni dove il segretario è in scadenza, è stato deciso che i congressi si tengano in autunno. In Calabria, invece, ho concordato con Martina e Rossi (il responsabile nazionale dell’organizzazione, ndr) che le cose procedano come già stabilito».


Lei ha detto che parteciperà alla stagione congressuale senza le cautele che gli imponeva il suo ruolo di segretario. Intende togliersi qualche sassolino dalle scarpe?
«Non ho mai avuto sassolini da togliermi. Chi fa politica deve camminare a piedi scalzi».