«Nessuno può violare i profili social del Premier e chi lo ha fatto dovrà pagare severamente». La mandrakata di Ernesto Magorno - ex segretario del Pd calabrese, sindaco di Diamante e, oggi, senatore di Italia Viva folgorato sulla via di Rignano - è infiocchettata nella solita nota stampa a uso multiplo social-giornali. Neppure una sbavatura, a leggerla. Neppure un accenno di sarcasmo. Eccola nella sua sintetica efficacia: «Palazzo Chigi ha ipotizzato che un hacker si sia introdotto nei profili social del Presidente del Consiglio. Si tratta di un fatto gravissimo. Chiederemo che l’Autorità delegata ai servizi sia audita prima possibile al Copasir assieme al Capo Ufficio Stampa di Palazzo Chigi. Nessuno può violare i profili social del Premier e chi lo ha fatto dovrà pagare severamente».

Sembra una cosa seria, invece è la solita cosa all’italiana. I fatti: nella settimana di passione che ha visto Conte capitolare dinanzi alle dimissioni eterodirette delle ministre Iv, sulla pagina ufficiale del premier è apparso un post che invitava a “mandare a casa Matteo Renzi” iscrivendosi a un gruppo di supporto all’Avvocato del Popolo (così si autodefinì Conte nel giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi).

Oibò, chi sarà stato? Secondo una regola investigativa che conoscono tutti i vecchi poliziotti, il maggiore sospettato di solito è anche il colpevole. Il gruppo a cui si invitavano tutti gli antirenziani a iscriversi è vicinissimo ai Cinquestelle. Lo stesso gruppo social che nel 2018 aveva un altro nome e finì nell’occhio del ciclone per aver promosso la campagna contro Mattarella di cui Luigi Di Maio chiedeva nientedimeno che l’impeachment, perché aveva detto No al nome di Paolo Savona come ministro del Tesoro (preistoria politica ormai).

Insomma, la manina che avrebbe vergato il post contro Renzi sarebbe a cinque punte. Da ciò si deduce che il profilo ufficiale del presidente del Consiglio italiano è gestito (o comunque accessibile con i permessi di editor) da “privati” che lavorano nello staff della comunicazione (leggi Rocco Casalino). E questo non si fa. Non si fa proprio. Ne è consapevole anche Palazzo Chigi, che per metterci una toppa avrebbe invece allargato il buco, dando la colpa a un fantomatico hacker che avrebbe violato l’account del primo ministro. Cosa non di poco conto in un Paese serio.

Palazzo Chigi, però, ha fatto più o meno spallucce, alimentando il sospetto che quella dell’hacker sia solo una scusa per coprire un click sbagliato: capita a chi deve gestire più pagine contemporaneamente.

Il primo a sgamare la furbata (si fa per dire) è stato proprio Renzi: «Il presidente del Consiglio è stato hackerato? È una cosa enorme oppure è una menzogna...». Ma lo ha fatto ieri. Oggi gli fa da sponda il suo principale referente calabrese, Magorno, che però non menziona neanche di striscio la possibile bugia di Palazzo Chigi, ma la mette giù pesante scomodando i servizi segreti e il Copasir, ovviamente con il solo obiettivo di fare tana per Conte e metterlo in difficoltà.

Non è detto, però, che Renzi ne sia contentissimo, perché quello che andava bene ieri forse non va più bene oggi, con il leader di Italia Viva che nelle ultime ore sembra impegnato a tentare di ricucire ciò che ha strappato, cioè il Conte bis. Nel timore di essersi bruciato i ponti alle spalle e di aver riportato in auge pure Mastella “Il Costruttore”, Renzi sta tessendo una nuova tela. Lavoro difficile che non ha bisogno di altra benzina sul fuoco.