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Mario Oliverio è arrivato alla sua ultima occasione. Quando ormai mancano poco meno di due anni alla fine della legislatura, il governatore ha l’obbligo di provare a dare un colpo di reni e rimettere in piedi la sua giunta e il centrosinistra. Impresa da far tremare i polsi, considerata la fase attuale e l’ultima, pesantissima sconfitta elettorale che sembra avere spazzato via Matteo Renzi e incanalato il partito verso una nuova e imprevedibile evoluzione.
In Calabria le urne, lo scorso 4 marzo, hanno ultimato il percorso di disfatte che il Pd, guidato da Ernesto Magorno e teleguidato dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, ha inanellato in Calabria. Tutti i capoluoghi di provincia, ad eccezione di Reggio, nel corso degli ultimi 4 anni sono passati al centrodestra e il Pd si è indebolito in una guerra interna tra le correnti che dai cittadini è stata percepita come lotta di potere e di poltrone e che ha avuto il suo simbolo nello scontro tra Oliverio e il commissario ad acta per il piano di rientro dal debito sanitario Massimo Scurache i renziani hanno difeso con ferrea determinazione. Uno scontro frontale che non è servito a nulla, considerato che Scura è ancora saldamente in sella, mentre i servizi sanitari continuano ad essere ampiamente al di sotto della media nazionale.
Né è servito a dare respiro all’azione politica della Regione l’esecutivo dei tecnici, varato da Oliverio per uscire dalla sabbie di “Rimborsopoli” che lo stavano inghiottendo proprio all’inizio della sua avventura. Anzi la scelta “tecnica” ha lasciato altre ferite sul campo. Gli assessori della prima ora, coinvolti chi più chi meno nell’inchiesta sulla gestione dei fondi pubblici, sono nemici giurati del presidente. Nino De Gaetano è passato a Leu, Carlo Guccione è uscito dalla maggioranza e sembra essere con un passo fuori dal Pd, ma anche Enzo Ciconte continua a fare le bizze e ad essere su una posizione critica all’interno della maggioranza.
Il paradosso è che anche dentro l’esecutivo tecnico sono scoppiate tensioni portandolo al collasso. Carmen Barbalace si è dimessa dopo il coinvolgimento in un’inchiesta giudiziaria, mentre Federica Roccisano e Antonio Viscomi erano ai ferri corti con il presidente già da prima dell’abbandono. La prima, messa alla porta dal presidente e dal partito, il secondo eletto in Parlamento. Anche Antonella Rizzo, assessore all’Ambiente, ha scelto di andarsene con Bersani e sembra pronta ad uscire alla fine di questa operazione di rimpasto. Se davvero Oliverio dovesse far fuori cinque assessori sui sette tecnici scelti a suo tempo (sembrano sicuri di rimanere in carica soltanto Musmanno e Russo), sarebbe la certificazione di un operato altamente insufficiente per chi doveva tirare fuori la Calabria dalle secche.
Le circostanze attuali, però, regalano a Oliverio una nuova e inaspettata opportunità: la maggioranza in Consiglio gli ha conferito fiducia e il Pd, con Magorno dimissionario e Minniti indebolito, non potrà fare a meno di lui. La fase congressuale che dovrebbe aprirsi dopo l’assemblea di lunedì è incerta più che mai e non può certo fare a meno di fare riferimento al governo regionale. Serve dunque, oggi più che mai una giunta forte e autorevole che possa invertire la rotta e contribuire ad un radicale “cambio di passo”, come richiesto da Magorno, tardivamente. Di sicuro, però, sbagliare di nuovo adesso non avrebbe rimedio.
Riccardo Tripepi