È sembrato un film. Forse un po’ lunghetto, 88 giorni, ma comunque un film. E non solo per la trama, i colpi di scena, per gli attori e le comparse, le battute drammatiche (“Impeachment!”) e quelle comiche (sempre la stessa: “Impeachment!”), ma anche per la scenografia da kolossal, tra palazzi del potere e corazzieri in alta uniforme a difesa dell’ultimo baluardo di sanità mentale.

 

La formazione del governo Conte è stato un lungometraggio con un finale, la parata sui Fori imperiali per la festa della Repubblica e il passaggio delle Frecce tricolori, che più scenografico non poteva essere. Una tempistica così perfetta, con quelle scie verdi, bianche e rosse della pattuglia acrobatica a striare il cielo blu, da far venire il dubbio che il presidente Mattarella avesse previsto tutto, anche questo epilogo da orgoglio nazionale.

 

Oggi erano tutti lì, “sorridenti, eleganti e democratici”, come ha risposto il nuovo ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a chi gli chiedeva se l’Europa debba aver paura del nuovo governo giallo-verde.
Se basteranno i sorrisi e le cravatte a calmare i mercati lo diranno le borse nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, ma per ora da quel fronte le notizie che arrivano sono rassicuranti. Perché, per ora appunto, ha vinto davvero la democrazia, hanno vinto gli italiani che hanno votato il 4 marzo e hanno fatto la loro scelta.

 

Nel lungo film di questi ultimi 3 mesi, il protagonista assoluto è stato indubbiamente lui, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il suo stile asettico, il suo modo di parlare così formale e misurato, il suo pallore istituzionale, non avevano mai convinto fino in fondo noi italiani, che tutto sommato siamo più vicini agli stereotipi che ci descrivono caciaroni e fancazzisti di quanto vorremo essere.
Fortuna vuole che anche Mattarella sia italiano, a dimostrazione che siamo anche capaci di grande dignità, intelligenza e ostinazione, e quando il gioco si fa duro sappiamo giocare. La sua lezione di politica e rispetto assoluto per la Costituzione non sarà dimenticata presto.

 

Mettendo il veto su Paolo Savona al ministero dell’Economia e ostentando le sue prerogative costituzionali, il Quirinale ha difeso noi. Tutti. Ci ha difesi da una speculazione finanziaria internazionale che aspettava solo il via libera per scatenare l’inferno, e il via libera sarebbe stato quel nome. Ha difeso i nostri risparmi e la credibilità dell’Italia, ha difeso il nostro voto che non era stato espresso sull’uscita dall’Euro, tema completamente assente dalla campagna elettorale che ci ha condotto alle urne il 4 marzo, mentre il famoso piano B di Savona prevede l’abbandono della moneta unica in segreto, nottetempo, per mettere il popolo sul fatto compiuto.

 

Il Presidente non l’ha permesso e ha tenuto duro, subendo per questo anche l’oltraggio di essere additato come un traditore della Repubblica, con la ridicola richiesta da parte di Luigi Di Maio, oggi ministro del Lavoro, della messa in stato d’accusa. Alla fine l’ha spuntata il Presidente e se oggi gli italiani hanno un governo politico espressione del risultato elettorale, è solo merito suo. Altro che traditore.

 

Per la prima volta Lega e M5s, impegnati in un’eterna campagna elettorale che sembra continuare anche ora che hanno la campanella di Palazzo Chigi in mano, sono stati costretti a confrontarsi con la realtà, che sfugge alla facile sintesi degli slogan acchiappavoti. Non esistono soluzioni facili per problemi complessi. Di questo, i nuovi padroni del vapore si sono resi conto anche grazie a Mattarella, che è stato capace di scrivere un lieto fine a un film troppo lungo che cominciava a somigliare sempre più a un B movie catastrofico, scrivendo i titoli di coda con le scie delle Frecce tricolori che sfrecciavano sull’altare della Patria.


Enrico De Girolamo