Dopo il taglio sono previsti 19 seggi tra Camera e Senato. Ma a Roma non c’è un accordo sulle nuove regole e i sondaggi impensieriscono soprattutto M5s e Fi (ASCOLTA L'AUDIO)
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Ne resteranno solo 19, ma non è nemmeno detto. È sicura, invece, la fifa matta che si è ormai impossessata dei parlamentari in carica, alla disperata ricerca di una (complicatissima) riconferma. La recente riforma istituzionale ha tagliato di netto 345 poltrone in tutta Italia, con una sensibile riduzione della rappresentanza anche in Calabria: si passerà dai 31 parlamentari attuali a soli 19, a patto che non intervengano nuove modifiche della Costituzione, del tutto possibili.
La fifa generale, insomma, in Calabria è ormai terrore ampiamente diffuso tra deputati e senatori, nessuno dei quali oggi può essere certo della rielezione.
La stasi politica e parlamentare sulle tante questioni tuttora irrisolte non aiuta a rasserenare il clima. Non è ancora chiaro se davvero dopo le Amministrative si metterà mano all’attuale legge elettorale e, se sì, quale tipo di riforma potrebbe vedere la luce, dal momento che il centrodestra sembra propenso al maggioritario (e perciò potrebbe anche decidere di blindare il Rosatellum) mentre a Pd e M5s potrebbe andar bene una modifica in senso proporzionale.
Tensioni in maggioranza
Le tensioni che attraversano i partiti sono così forti che, giusto due giorni fa, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, ha dovuto coordinare una riunione di maggioranza per tentare un’uscita dall’impasse creata dalle proposte di legge sul presidenzialismo (proposta dalla leader di Fdi, Giorgia Meloni) e sulla base territoriale per l’elezione del Senato (Federico Fornaro, di Leu). Il confronto proseguirà la prossima settimana, in uno stato di incertezza che inquieta tutti i parlamentari.
Pure le classiche manovre di riposizionamento in vista delle Politiche del 2023 sono sostanzialmente ferme perché non si conoscono ancora le regole del gioco, né si possono dare per scontate le alleanze, considerate l’onda lunga della crisi post-Quirinale nel centrodestra e le posizioni divergenti di M5S e Pd sull’aumento delle spese militari e, quindi, sul sostegno al Governo Draghi.
I pochi punti fermi
In questo quadro generale a un tempo immobile e instabile, è possibile tentare un’analisi della situazione calabrese solo a partire da pochi punti fermi: l’attuale legge elettorale, la suddivisione dei collegi e i sondaggi sul gradimento dei partiti.
Premesso che il Rosatellum istituisce un sistema elettorale misto (il 37% dei seggi è assegnato con il maggioritario, il 61% con il proporzionale), in Calabria i 13 posti previsti per la Camera sono ripartiti tra 5 collegi uninominali e 8 seggi plurinominali, mentre per i 6 del Senato la proporzione è di 2 e 4.
Quanto ai partiti, un sondaggio di Nando Pagnoncelli pubblicato il 27 marzo sul Corriere della Sera attesta Fratelli d’Italia al primo posto con il 21,5% dei consensi. Al secondo c’è il Pd, fermo al 20,7%, al terzo la Lega (17,5%), in flessione dello 0,5%, seguita da un Movimento 5 Stelle al 14,5%, «punto più basso degli ultimi 2 anni».
Forza Italia si aggira intorno all’8%, la federazione Azione/+Europa al 3,6%, tutte le altre forze politiche al di sotto della soglia di sbarramento del 3% prevista dal Rosatellum.
Ecatombe 5 stelle
Sulla scorta di questi dati, non serve Nostradamus per prevedere l’ecatombe elettorale del M5S calabrese.
Nel 2018 il Movimento fondato da Beppe Grillo riuscì a superare il 43% dei voti vincendo ben nove 9 collegi tra Camera (6) e Senato (3) e portando in Parlamento un totale di 18 eletti. Oggi i pentastellati devono fare i conti con un calo vertiginoso dei consensi e con il contestuale taglio dei seggi, da loro stessi voluto. Chi si salverà? Chance ridotte al lumicino per quei parlamentari – come il presidente dell’Antimafia, Nicola Morra, o la senatrice pro-Putin e no vax Bianca Laura Granato – che hanno lasciato il Movimento senza poi trovare una esatta collocazione politica. Gli 11 rimasti (Auddino, Barbuto, D’Ippolito, Dieni, Melicchio, Misiti, Nesci, Orrico, Parentela, Scutellà e Tucci) dovranno innanzitutto scegliere definitivamente da che parte stare nella lotta interna tra il capo appena riconfermato Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, per poi sottoporsi, con ogni probabilità, alle Parlamentarie, consultazioni interne che – considerati i pochissimi posti a disposizione – rischiano di essere sanguinosissime.
Fi non sta meglio
Potrebbe essere un bagno di sangue anche per i forzisti. Nel 2018 il partito di Berlusconi arrivò al 20%, prima forza del centrodestra, e in totale riuscì a eleggere sette parlamentari (oggi sono 8 per via dell’arrivo di Silvia Vono da Italia viva). Anche alle ultime elezioni regionali, Fi è stato il primo partito della coalizione, ma ripetere l’exploit di 4 anni fa, considerate le percentuali di questi mesi, è un puro esercizio di fantasia. Il centrodestra, con il 47% a livello nazionale – e ammesso che gli attuali dissidi non portino a una separazione elettorale – è ancora la coalizione più forte, ma è arduo immaginare che i nuovi rapporti di forza interni, con Fdi a fare la parte del leone, consentano ai berlusconiani di ottenere lo stesso numero di candidature nei collegi uninominali del 2018. Gli uscenti reggini Ciccio Cannizzaro e Marco Siclari, unici due eletti nei collegi, sono avvertiti.
Pochi problemi Fdi
Meloni, nei fatti capo politico del centrodestra, con ogni probabilità farà valere la sua leadership al momento di decidere le candidature e nella ripartizione degli uninominali.
Ne consegue che Fdi, al netto della riduzione dei parlamentari, potrebbe comunque aumentare il proprio contingente di deputati e senatori calabresi, oggi rappresentato dalla sola Wanda Ferro. È possibile che, tra gli altri, a farci un pensierino sia anche Fausto Orsomarso, oggi assessore della Giunta Occhiuto.
La linea di Letta
I meloniani hanno insomma poco da perdere e molto da guadagnare. Un po’ come il Pd, in costante crescita in Italia e azionista di maggioranza di quel «campo largo» nel quale il M5S diventa ogni giorno che passa sempre più marginale. Pure Enrico Letta pretenderà candidature in linea con il proprio peso politico. Resta da capire se il neo segretario regionale, Nicola Irto, il cui impegno diretto alle prossime Politiche non pare in discussione, troverà posto nel listino proporzionale della Camera in posizione blindata o se sarà chiamato a misurarsi nel collegio, magari in una sfida tutta reggina con Cannizzaro.
Altro nodo riguarda il destino dei due deputati uscenti, Enza Bruno Bossio e Antonio Viscomi: saranno piazzati in posizione utile o, nel gioco delle correnti, dovranno lasciar spazio a qualcun altro? Certo è che molti dem hanno accolto con sollievo la nomina di Francesco Boccia a commissario regionale in Puglia. Quasi scontato che il responsabile nazionale degli Enti locali sarà ricandidato nelle liste della sua regione e non in quelle della Calabria, dove, soprattutto in occasione dei congressi provinciali, non ha mancato di imporre la sua volontà, secondo i più maliziosi al fine di facilitare una sua eventuale candidatura a sud del Pollino.
L’incognita Lega
Tante le incognite relative alla Lega. Il primo parlamentare calabrese nella storia del Carroccio, Domenico Furgiuele, punta a un posto in prima fila, ma nel partito nulla sembra deciso. L’ultima riunione tra Salvini e i dirigenti regionali ha siglato una pax molto fragile che potrebbe andare in frantumi subito dopo le elezioni comunali. Il commissario Francesco Saccomanno – che aspirerebbe al salto in Parlamento – continua a essere mal sopportato dalla base e, in particolare, dall’area che fa capo all’ex presidente facente funzioni della Regione Nino Spirlì. Per Salvini potrebbe essere dunque più complicato del previsto trovare la quadra sulle candidature. L’elenco dei pretendenti è lungo e dentro potrebbe esserci anche il nome di Tilde Minasi, che pochi giorni fa ha formalizzato la sua decisione di continuare a fare l’assessore regionale, liberando così il posto per Fausto De Angelis. Inutile dirlo: anche il neo senatore vibonese, da uscente, busserà alla porta dell’ex vicepremier quando sarà il momento di stilare le liste.
Iv: solo Magorno può
Se una forza come la Lega, terza in Italia, non può garantire alcun posto sicuro ai propri candidati, figuriamoci un partitino come Italia viva. La creatura di Matteo Renzi oscilla tra tentazioni progressiste (Letta/Conte) e accomodamenti centristi (Calenda/Toti), ma in Calabria ha un punto fermo: il neo coordinatore regionale Ernesto Magorno. Il senatore e sindaco di Diamante – anche in virtù dell’inscalfibile e privilegiato rapporto con l’ex premier – sarà senz’altro posizionato nella casella che garantirà le maggiori probabilità di elezione. Ma per Magorno centrare il bis sarà comunque un’impresa titanica, visti i chiari di luna di Iv e il contesto generale; è quindi praticamente impossibile che ce la facciano altri ambiziosi renziani come il redivivo Brunello Censore o, magari, come il sindaco reggente di Reggio, Paolo Brunetti.
Leu e Stumpo
Nel 2018 la Calabria elesse anche un deputato di Leu, Nico Stumpo: a meno di una mossa a sorpresa – non da escludere – un secondo tempo del deputato crotonese, uomo di fiducia del ministro Roberto Speranza, è altamente improbabile.
Dramma costituzionale
Le cose stanno più o meno così. Tuttavia il dramma dei parlamentari calabresi potrebbe non essere ancora completo. Se la legge di riforma costituzionale di Fornaro dovesse infine essere approvata, il Senato verrebbe eletto su base circoscrizionale e non più, come oggi, su base regionale. Forse non a caso, ieri il deputato calabrese di Fi Andrea Gentile si è detto contrario a una riforma che rischia di «rescindere definitivamente ogni punto di contatto tra Parlamento e regioni».
Più prosaicamente, il via libera alle nuove regole potrebbe determinare una ulteriore riduzione dei senatori calabresi, a vantaggio di altre regioni.
Una possibilità che non fa altro che accrescere il terrore generale.