Il fratello del deputato leghista sembra aver preso troppo alla lettera la guerra che agita il litigioso partito calabrese. E la battaglia politica tracima in intimidazioni e atti di vandalismo
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«Non posso commentare in alcun modo perché ci sono indagini in corso, ma è nostro interesse andare fino in fondo e se tutto fosse confermato sarebbe molto grave». In questi giorni lontano dalla Calabria, il segretario regionale della Lega calabrese Cristian Invernizzi si tiene sul vago, ma sa – e lo fa capire – che giù ci dovrà tornare a breve perché il bubbone è scoppiato. Lontano dai riflettori tutti puntati sull’emergenza Covid, nel Carroccio calabro si è arrivati al punto di non ritorno e la guerra interna alle correnti che da sempre agita il partito in regione è tracimata in minacce, intimidazioni, atti vandalici.
Nuovi imbarazzi per Furgiuele
Obiettivo, Walter Rauti, numero 2 degli Enti locali, dopo il commissariamento del partito affidato a Invernizzi, spedito in raddoppio di marcatura a Sud. Autore, stando a fonti vicine alle indagini, Antonio Furgiuele, il fratello del deputato Domenico. Uno a cui la famiglia – c’è da dire – non ha portato proprio bene. Dopo gli imbarazzi causati dal suocero, il re dell’autostrada Salvatore Mazzei, condannato definitivamente e finito in carcere per estorsione e per lo stesso motivo destinatario di un sequestro antimafia, che –emerge dalle carte – avrebbe tentato di ribaltare contattando il giudice Petrini, e quelli causati dalla suocera, titolare di un centro estetico sequestrato perché abusivo, ci si mette anche il fratello. E qui Domenico Furgiuele, che anche di suo ha guai con la giustizia per la sua (ex) azienda Terina pizzicata da un’inchiesta antimafia in un cartello di imprese costituito per spartirsi gli appalti, potrebbe ad avere qualche difficoltà a incartare tutto sostenendo «la mia unica colpa è di essermi innamorato di mia moglie».
Spedizione punitiva con radiocronaca
Fatto sta, dicono fonti vicine alle indagini, che mentre il deputato in Parlamento evocava «nuovi Moti contro Gino Strada» - con riferimento diretto ed esplicito a quei mesi in cui Reggio Calabria fu messa a ferro e fuoco, ha svelato in seguito la magistratura, secondo i dettami più o meno espliciti di ‘Ndrangheta, massoneria e pezzi di politica e imprenditoria – suo fratello Antonio si lanciava in una spedizione punitiva nel paese d’origine di Rauti. Per altro, a quanto pare, commentandola al telefono e via chat, con foto a corredo. Di mezzo, ci sarebbe andata anche la famiglia del dirigente della Lega ed in particolare uno dei fratelli, che proprio in quelle ore si è ritrovato la porta dello studio professionale distrutta.
Nervi tesi, rancori antichi e parole grosse
Toccherà alle indagini stabilire se si tratta di una casuale coincidenza o la cosa sia relazionata con il fiume di minacce e insulti che in quelle ore il fratello di Furgiuele ha “dedicato” a Rauti e i suoi. Motivo, non è dato sapere, tanto meno se sia stata un’iniziativa autonoma. Certo è che i veleni nella Lega calabrese negli ultimi mesi – ed in particolare da quando il leghista Nino Spirlì si è insediato alla guida della Regione, con Rauti a fargli da ombra – hanno superato il livello di guardia. A Furgiuele (deputato) la cosa non è mai sembrata andare troppo giù, tanto meno ha mai sembrato digerire i dirigenti del partito mandati giù per spodestarlo e che da allora non gli hanno fatto sostanzialmente toccare palla, salvo nella sua Lamezia Terme. Di recente, dicono i rumors, fra il deputato e Rauti ci sarebbe stato anche uno scontro al calor bianco. Magari il fratello di Furgiuele ha inteso in modo troppo letterale la “guerra” politica. Diranno le indagini.
La goccia che fa traboccare il vaso per Furgiuele?
Di certo, al di là delle grane legali del fratello, ora per Furgiuele il problema è anche politico. Ad oggi, al netto dei mugugni di pezzi della base, la Lega gli ha abbonato gli imbarazzi causati dai suoceri, ha taciuto sul ruolo societario della moglie nella holding di Mazzei finita sotto sequestro, ha fatto finta di non vedere che la Terina di cui il deputato è stato amministratore unico e legale rappresentante fino a due mesi dopo le politiche sia nata affittando rami d’azienda, commesse e attrezzi inclusi, dall’ingombrante famiglia della consorte. Anche dopo l’indagine che lo ha personalmente coinvolto, Matteo Salvini – ex ministro dell’Interno, sempre pronto a assicurare che «dove c’è la ‘Ndrangheta, ci sarà la Lega a prenderla a calci in culo» - lo ha blindato. «Un sospetto non mi basta per condannare una persona, così funziona in un Paese civile» ha detto per difenderlo. E adesso?