I partiti di governo continuano a comportarsi come se fossero in campagna elettorale senza affrontare con sufficiente responsabilità i problemi che ipotecano il futuro del Paese
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Qua non si tratta di essere leghisti o grillini, di destra o di sinistra, del Pd o di Forza Italia. Qua si tratta di rinsavire, di uscire da questa campagna elettorale permanente che prima ci condurrà alle elezioni europee e poi, c’è da scommetterci, a quelle politiche, senza soluzione di continuità, declinando il futuro in sintetici slogan elettorali che, nei fatti, non servono a nulla, perché per problemi complessi non bastano soluzioni semplici o, peggio ancora, semplicistiche. Continuare a ridurre tutto a “è finita la pacchia” oppure “abbiamo sconfitto la povertà”, non ci porterà da nessuna parte se non più vicini all’orlo del baratro.
Qua si tratta di fare i conti con gli allarmi e i numeri che annunciano una nuova, spaventosa recessione, senza archiviarli fantasiosamente come un complotto demo-pluto-massonico per impedire al governo del popolo, guidato dall’avvocato del popolo, di fare quello che dice il popolo.
Qua si tratta di guardare in faccia la realtà, la quale, ci piaccia o no, è quella di un sistema economico irreversibilmente interconnesso dal quale dipendiamo anche quando non ne condividiamo i principi.
La realtà è quella rappresentata dalle stime del Fondo monetario internazionale e, ultimi in ordine di tempo, dai calcoli della Commissione europea, che pongono l’Italia all’ultimo posto (ultimo!) nelle previsioni di crescita del Pil nel 2019, con appena lo 0,2 %. Un abisso di sviluppo sperato ci separa dal paese penultimo in classifica, la Germania, che potrà contare su aumento del prodotto interno lordo dell’1,1 %, 10 volte di più di quanto tocca al nostro nell’anno appena iniziato. In cima alla classifica, invece, ci sono paesi “emergenti” che negli ultimi tempi hanno scommesso con successo e con profitto sul proprio futuro, come Malta (+ 5.2%), Irlanda (+ 4,1%), Romania (+ 3,1%), Bulgaria (+3,6%), Polonia (+3,5%). E noi, invece, siamo relegati nel sottoscala della crescita, a baloccarci con illusioni pericolosissime come il reddito di cittadinanza e quota 100, che faranno felici 3, 4 o anche 5 milioni di italiani, ma peseranno come una condanna su tutti gli altri, cioè la stragrande maggioranza di quei 60 milioni di persone che vivono lungo lo Stivale.
Si dirà: è la democrazia, bellezza! Se queste sono le politiche messe in atto è perché il popolo ha votato e scelto. Vero, ma ora che il “popolo” è al governo, ora che ha sbaragliato la concorrenza sfilacciata e ormai patetica dei partiti tradizionali, da Renzi a Berlusconi, ha il dovere di crescere, di diventare maturo, di governare davvero, piantandola di rivendicare ogni minuto un primato che nessuno può più mettere in discussione. L’alternativa, paradossalmente, è preparare il terreno proprio per un ritorno degli odiati nemici, quelli che hanno portato l’Italia a questo punto consegnandola nelle loro mani, quelle di Lega e Movimento.
Se i populisti ci credono in quello che fanno, hanno il dovere di non fallire. Ma vincere non significa solo conquistare più voti alle innumerevoli tornate elettorali che attendono dietro l’angolo. Vincere significa fare davvero il bene di questo Paese, rinnegando la retorica e la propaganda a colpi di like, smettendola con le balconate e con le divise della polizia ostentate, chiudendo con le provocazioni alla Francia o a chicchessia. Insomma, è arrivato il momento di fare le persone serie, se ne sono capaci.