Scontri, tradimenti, flop, convergenza. Il post quirinale è ricco di vocaboli per la politica italiana. La corsa al Colle ha mostrato tutti i limiti dell’attuale classe dirigente troppo distratta dal futuro prossimo e poco concentrata sugli obiettivi. D’altra parte, a sentire gli echi del dibattito in corso all’interno di coalizioni e partiti, sembra di essere tornati indietro di qualche mese.

Complice la maldestra gestione dei negoziati rispetto all’individuazione del nuovo Capo dello Stato, in molti partiti è saltato il tappo con il conseguente bouquet di veleni e scontri al vetriolo che, fuoriusciti ora, fanno presagire l’annuncio dell’ennesimo rinnovamento del partitismo all’italiana. Tutti sono coinvolti. Nessuno escluso. Lo dimostra anche lo scontro all’interno del Movimento 5 stelle. Il centrodestra, poi, si è praticamente schiantato.

Gli scenari attuali e la frantumazione del sistema

La novità degli ultimi giorni è il ritorno in auge dell’idea di federare il centrodestra. È la risposta salviniana ai rigurgiti di Giorgia Meloni che continua a comportarsi da ex alleata.

L’idea di Federazione (ri)lanciata da Salvini, che ne ha già parlato con Silvio Berlusconi - ha lasciato tiepidi alcuni tra gli alleati, ma rischia di allontanarne definitivamente degli altri. Basta pensare ai rapporti tesi con i meloniani che definiscono quella del leader del Carroccio una manovra per la sopravvivenza. O anche il gruppo che sostiene le tesi di Giovanni Toti, cofondatore di Cambiamo, che vuole allargare la coalizione a sinistra, magari per ripensare ad una nuova idea di centro. Oggi, in realtà, già più di una idea, che in tanti vorrebbero affidare a Pierferdinando Casini, al quale andrebbe il ruolo di federatore del grande centro che vede interessati Italia Viva di Matteo Renzi (che alcuni però vedono col centrosinistra), Coraggio Italia, l’Udc, i socialisti di Riccardo Nencini, Idea di Gaetano Quagliariello, Azione di Carlo Calenda e anche Forza Italia che con il “primo” Berlusconi federatore fu antesignana del centro – destra che siamo abituati a individuare. Insomma un vero e proprio Terzo Polo che, guardando con insistenza ad una legge elettorale di impianto proporzionale (che piace anche a Giorgia Meloni), si candida a sparigliare le carte del sistema politico italiano.

Quali riflessi a livello locale?

Se dovesse realizzarsi l’attuale scenario paventato da Matteo Salvini – che ha ipotizzato la nascita di una federazione sullo stile del Partito Repubblicano americano – tra l’altro trovando l’approvazione dal Consiglio federale del Carroccio, che fa tornare d’attualità anche il tema delle autonomie, oltre che a livello nazionale, potrebbe cambiare anche lo scenario regionale?

Di Federazione se n’era parlato già dopo l’estate scorsa e i più ottimisti immaginavano di arrivare pronti già alla votazione per il Presidente della Repubblica. L’idea però si impantanò, anche a causa del muro alzato da una parte di Forza Italia, spaventata da una sorta di annessione da parte leghista. Fu proprio Roberto Occhiuto, in qualità di capogruppo azzurro alla Camera a dover gestire quei concitati momenti, provando a rassicurare i suoi e sottolineando che i tempi non erano maturi.

Oggi Occhiuto è Presidente di Regione. E con la stessa autorevolezza dei leader politici, data dal ruolo e dalla crescente influenza della Conferenza delle Regioni, si è recato al Colle per incontrare Sergio Mattarella. La sua critica ai partiti e alla melina cui siamo stati costretti la settimana scorsa è parsa anche feroce, se si pensa che fino a qualche mese fa calcava il Transatlantico e guidava le truppe azzurre nel governo Draghi.

Se insomma le tensioni all’interno del centrodestra dovessero continuare, Occhiuto si potrebbe trovare di fronte ad un bivio: potrebbe tornare a (ri)tranquillizzare i suoi e gestire in prima persona una fase molto calda. Se sarà costretto a farlo, lo farà dalla posizione privilegiata che si è appuntata al petto dopo il voto del 3 e 4 ottobre, di leader del centrodestra calabrese.

Ma non si può escludere che Roberto Occhiuto, dopo le parole post Quirinale, possa scegliere di assecondare la visione salviniana, accarezzando l'idea di diventare un punto di riferimento politico per il mezzogiorno alla stregua dei colleghi governatori leghisti del Nord, ancora inquadrati nella Lega ma non certo allineati con il leader, provando, come del resto ha detto anche in Consiglio regionale, a modificare le spinte autonomiste (a solo vantaggio del nord) del Carroccio.

E tuttavia i segnali che arrivano verso la Lega non sono del tutto rassicuranti. Francesco Cannizzaro a caldo, dopo la votazione decisiva di sabato, scriveva «il passo indietro di Silvio Berlusconi ha scoperchiato il vaso di Pandora: a Sinistra non avevano la più pallida idea di chi proporre, mentre all'interno della mia Coalizione qualcuno troppo sicuro di sé ha giocato malissimo le sue carte (come successo in tante altre competizioni elettorali)».  

Wanda Ferro (FI) è stata meno diplomatica, e nelle ultime interviste ha ricalcato il Meloni pensiero, sostenendo, insieme al ritorno al voto (magari col proporzionale), anche la necessità di un chiarimento all’interno della coalizione, «una rivisitazione del centrodestra», con eventuale allargamento al centro ma senza stravolgere l’identità, che basi il proprio percorso sulla lealtà e la coerenza.

A conti fatti sono quattro i consiglieri in quota Fratelli d’Italia e due quelli di Coraggio Italia (che non è detto seguano Toti). Se le cose dovessero mettersi male nel centrodestra, quello che conterà sono soltanto i numeri.

Come sempre del resto…