VIDEO | Dal bluff dei leader dei partiti che si candidano ma non andranno a Bruxelles allo scontro infinito tra politica e giustizia (che per qualcuno è a orologeria). Lo scontro tra vecchie e nuove leadership (il generale oscurerà Salvini?) nella nuova puntata del format di LaC Tv da Roma. Ospiti Casini (Pd), Foti (Fdi), Fratoianni (Avs), Matone (Lega), Polverini (Fi) e Rosato (Azione)
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I big come specchietti per le allodole nelle liste per le elezioni europee, lo scontro infinito tra il potere politico e quello giudiziario, le scelte dei partiti per il voto di giugno. C'è tanta carne al fuoco alla corte di Antonella Grippo che, dagli studi di LaC a Roma si chiede che senso abbia schierare alle Europee i leader dei partiti se questi non lasceranno l'Italia per Bruxelles. Perfidia è un viaggio tra i temi caldi che condurranno il Paese al voto di giugno. A partire dallo scontro sul senso delle candidature dei leader nazionali che, se eletti, non siederanno nel Parlamento europeo.
Big candidati alle Europee, per Fratoianni è sbagliato. Casini: «Non mi piace ma l’ho fatto anch’io…»
«È una truffa?», chiede Grippo a Nicola Fratoianni, che guida Alleanza Verdi e Sinistra e ha scelto di non candidarsi. «Non so se sia scandaloso – è la risposta di Fratoianni – di sicuro è sbagliato: ci si candida per essere eletti o elette e per svolgere una funzione. Se si sa già, perché lo si è dichiarato, che non si svolgerà la funzione candidarsi è un imbroglio nei confronti degli elettori: semplice semplice, non ci vuole molto a capirlo. Noi abbiamo ritenuto più utile che a guidare le nostre liste siano figure che andranno a Bruxelles: mi pare più pulito». Che la premier Meloni chieda di scrivere il suo nome sulle schede elettorali per le Europee, poi, «è un doppio imbroglio: continuerà a fare la presidente del Consiglio e prova ad aggiungere una forma di prossimità amicale che fa a pugni con la realtà. Cosa penserà chi aveva un sostegno al reddito e lo ha visto cancellare dall’amica Giorgia?».
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La posizione di Pier Ferdinando Casini non può che essere più ecumenica, dall’alto di uno splendente passato nella Democrazia Cristiana sul quale non risparmia gli aneddoti e soprattutto della propria esperienza personale: «Non è che la cosa mi piaccia moltissimo. Se dicessi che è una truffa, lei mi potrebbe ricordare quante volte l’ho fatto io da segretario del Ccd e dell’Udc, quindi non dirò che è una truffa. Per cui dico che in realtà, per cercare di mobilitare gli elettori, questi leader politici ritengono che scendere in campo sia un modo per comunicare. Non mi sento di scagliare una croce addosso a questi leader». Certo i leader che ricorda Casini avevano altro spessore, se si deve dare credito al titolo del suo ultimo libro “C’era una volta la politica”. L’ex presidente della Camera premette che non avrebbe senso rifare la Dc («lasciamo in pace i morti, quel mondo non esiste più») ma non disdegna la nostalgia: intona “O bianco fiore”, storico inno della Democrazia cristiana e dedica un pensiero al presidente della Repubblica Mattarella. Sul ledwall di via Condotti 21 scorrono le immagini in bianco e nero: una lo vede accanto all’attuale capo dello Stato. «Entrammo insieme in Parlamento nel 1983 e lui era timidissimo. Con il tempo è diventato molto empatico: la gente sente che è come uno di famiglia. Dopo tanti anni è diventato giovanile e simpatico. È un esempio di quella che chiamo “grazia di Stato”».
Sull’arresto di Toti Matone (Lega) parla di «giustizia a orologeria» e Polverini (Fi) accusa gli alleati di fuoco amico
Politica e cronaca giudiziaria (purtroppo per la prima) finiscono per mescolarsi spesso. L’arresto di Giovanni Toti, governatore della Liguria, ha riaperto il dibattito mai chiuso sulla questione morale. E vecchie accuse di giustizia a orologeria indirizzate alle Procure. Simonetta Matone, deputata della Lega, è un ex magistrato. Da lei, però, non arriva una difesa di categoria, tutt’altro: «Dirò una cosa poco corretta e molto perfida – spiega nel corso della puntata –, neanche la separazione tra le carriere risolverà i problemi della giustizia perché le Procure continueranno a fare queste operazioni a orologeria. Tu non mi puoi arrestare il governatore della Regione alle 3 di notte come se fosse Totò Riina, che motivo c’è se non un intento di natura terroristica. E poi le indagini sono partite 4 anni fa e gli arresti arrivano proprio a un mese delle elezioni?». L’accusa di Matone è grave: «Sono tutte operazioni studiate a tavolino. Altra combinazione: l’Anm viene ricevuta qualche giorno prima da Nordio per discutere delle riforme e poco dopo partono gli arresti».
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Di «cannibalismo» parla Antonella Grippo per raccontare le pulsioni davanti ai politici feriti: cannibalismo che ingolosisce anche gli alleati. Succede nel centrodestra dopo le disgrazie giudiziarie genovesi? Renata Polverini, candidata con Forza Italia alle Europee, teme di sì e lancia un avvertimento ai colpevoli di fuoco amico: «Ho letto alcune dichiarazioni di nostri alleati che già parlavano di nuove elezioni in Liguria prima di conoscere le indagini. La ruota gira e, molto spesso, quando qualcuno si scaglia verso un altro poi gli ritorna indietro. Sarei molto più cauta nei giudizi». Il clima nasce, per l’ex segretaria nazionale dell’Ugl, da una sorta di rincorsa alle parole d’ordine del M5S: «Li abbiamo imitati e inseguiti su tutto a partire dall’assalto ai costi della politica: dall’eliminazione delle auto blu ai tagli che sono arrivati finanche nelle toilette della Camera, in maniera un po’ ridicola. Non abbiamo difeso le istituzioni». E il giustizialismo sarebbe una delle conseguenze di questa rincorsa populista.
Foti (Fdi) e Rosato (Azione): c’è lo spettro di Vannacci sulla leadership di Salvini
C’è un altro spettro politico che si aggira sulle Europee (forse anche sulla Lega): è quello del generale Roberto Vannacci, nuova punta di diamante del Carroccio. Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, analizza la discesa in campo del generale e riserva una perfidia a Matteo Salvini: «Evidentemente pensa che la Lega sia meglio rappresentata da Vannacci, a questo punto, ma è una scelta del tutto legittima, consona allo status che ognuno sceglie nel proprio partito. O forse dovremmo pensare che Giuseppe Conte non si candida perché ha paura di perdere voti?». Foti ritiene la scelta dei leader di candidarsi alle Europee anche se non andranno a Bruxelles un modo per rendere più forte l’Europa: «Fanno da traino rispetto al consenso elettorale e alla partecipazione al voto». Eccessi di leaderismo in vista della riforma del premierato? Tutt’altro, per Foti l’introduzione del premierato non è un modo per introdurre l’uomo o la donna sola al comando ma «la strada per rispettare la volontà popolare: troppe volte gli elettori si sono espressi per una coalizione e hanno visto il loro voto tradito o spostato con manovre di Palazzo».
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Anche il vicesegretario nazionale di Azione Ettore Rosato riflette sulla candidatura di Vannacci. La considera poco funzionale agli interessi dell’Italia: «Chiamo questa candidatura con il suo nome: populista. Nulla di ciò che il generale ha da dire serve all’Italia nel contesto europeo, nulla. L’unico scopo è quello di catalizzare dei consensi attorno a sé». Con un potenziale rischio per l’attuale leader del Carroccio: «Se dovesse superare i voti raccolti da Salvini alle scorse Europee dovremmo aspettarci che Vannacci diventi segretario della Lega. Questo è un problema loro, per noi il problema è che Vannacci non porta un contributo alle cose che servono al Paese e che in Europa dobbiamo costruire». Rosato smonta anche il presunto rapporto sentimentale tra la Lega e il Sud nato in nome del Ponte sullo Stretto: «Si taglia la decontribuzione, si tagliano gli strumenti per le assunzioni, si tagliano gli investimenti sulla sanità e si fa il Ponte sullo Stretto? È chiaro che non c’è una risposta».