L'autonomia differenziata rimane al centro del dibattito che, in queste settimane, i dem stanno portando avanti in tutto il Paese. È un tema controverso ed anche trasversale. Pochi giorni fa lo stesso presidente Occhiuto, ora anche vicepresidente di Fi, alla presenza di Landini ha affermato che senza garanzia di risorse il disegno di legge è invotabile anche per loro. Certo è che per le regioni meridionali guidate dal centrodestra la questione sta diventando delicata da gestire. Ed il Pd lo sa bene, per questo continua a battere il ferro sul paventato rischio che starebbe correndo l'Italia. Quello cioè di essere divisa in venti regioni autonome per 23 materie da gestire in base ai rispettivi Pil. Va da sé che la Calabria, da ultima regione europea scenderebbe sottozero in una ipotetica organizzazione fondata sui mezzi propri e sulla propria fiscalità.

Il problema diventa più evidente se si analizza il campo della sanità. In Calabria la spina dolente di tutte le amministrazioni. Ieri sera a Lamezia si è parlato di questo aspetto del problema con don Giacomo Panizza, con la responsabile nazionale dem della Sanità Marina Sereni, in un incontro organizzato dalla consigliera regionale Amalia Bruni che ha visto anche la partecipazione del segretario regionale Nicola Irto, dei consiglieri Bevacqua, Iacucci, dell'accademico Silipo. Un confronto che ha chiarito, se possibile, ancora meglio, il gap che potrebbe scaturire nell'ambito della già gravemente compromessa situazione sanitaria calabrese, all'interno di una, non florida, situazione nazionale.

«Abbiamo il dovere - ha detto quindi Sereni - di occuparci della tutela della salute che è un diritto sancito dalla Costituzione italiana, l'articolo 32 che definisce questo non solo un diritto, ma un interesse collettivo. Un interesse essenziale che viene prima di quello economico. È fondamentale e basico». E se è vero, come le statistiche ci dicono, che nel Mezzogiorno sono circa 700mila che non hanno più i mezzi per curarsi, se in Calabria questo dato sale al 13% della popolazione appare chiaro come in un contesto di autonomia differenziata non ci sono Lea (livelli essenziali di assistenza) e Lep (livelli minimi di prestazioni) che tengano.

Su questo punto don Giacomo Panizza, il fondatore della Comunità Progetto Sud di Lamezia è stato molto chiaro tirando fuori anche l'aspetto etico della questione. «È un tema che va affrontato non guardando ai numeri ma all'etica. Si parla di Lea, cioè si parla di essenzialità per vivere. Il diritto alla salute deve essere garantito anche nelle regioni dove si produce di meno - ha affermato don Panizza - questi livelli ci devono essere comunque. E dobbiamo pensare assolutamente ad unire i distretti sanitari con quelli sociali altrimenti non funzionerà più niente».

Tutti d'accordo sul ruolo fondamentale che la politica deve avere oggi rispetto a ciò che per Marini «è solo una sfida perché ci sono le elezioni e a Salvini deve essere dato il contentino dell'autonomia differenziata. E lui non si rende conto che impoverire i servizi sanitari di tutte le regioni italiane, perché di questo si tratta, non renderebbe un buon servizio alle tre che oggi trainano l'economia e che sono l'Emilia, la Lombardia ed il Veneto. Sarebbe lo sfacelo totale».

Anche Nicola Irto ha stigmatizzato il pericolo che rappresenterebbe questo provvedimento avvertendo: «Occhiuto deve mettersi d'accordo con sé stesso. Non può essere un giorno a favore e l'altro contro, a seconda dell'interlocutore. Del resto lui l'ha già votato, lui è nemico del Sud e della Calabria».

Un dibattito serrato, dunque, che ha inteso dare voce, così come ha detto anche Amalia Bruni, «a tutti i cittadini, alle associazioni, al Tdm, ai sindacati e a tutti coloro che lottano in queste ore contro un disegno di legge scellerato che ci porterebbe indietro all’era pre garibaldina».