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Prove tecniche di implosione. L’Assemblea nazionale del Pd un obiettivo lo ha raggiunto: dimostrare che il partito è ancora più in difficoltà di quanto si potesse immaginare. Tanto che più di qualcuno comincia a pensare che i margini per riprendersi dalla batosta elettorale dello scorso 4 marzo siano sempre più risicati.
Anche Matteo Renzi ha fiutato l’aria è ha imposto tramite Orfini una mozione che ha stravolto l’ordine del giorno: niente più formalizzazione delle dimissioni del segretario e dibattito sul congresso, ma una discussione alla camomilla sull’attuale fase politica.
Abbastanza per fare imbufalire la gran parte dei mille delegati arrivati all’Ergife perché convinti di dover partecipare ad un’assemblea storica. La prova di forza va bene (391 a 222 e 6 astenuti), ma il risultato è deludente per gli stessi renziani: alla fine dell’Assemblea sono rimasti neanche 500 delegati. In tantissimi hanno abbandonato i lavori prima, convinti dell’inutilità della discussione.
Una confusione generale che spiazzato anche i calabresi. Il governatore Mario Oliverio non ha preso parte ai lavori, forse considerando più prudente non schierarsi, mentre i parlamentari hanno votato compatti con Renzi. Magorno, Viscomi e Bossio si muovono come un sol uomo e la diversificazione della posizione della coppia Adamo-Bossio rispetto a quella dell’area Oliverio pare un dato significativo. Scontati anche i sì di Minniti, Irto e Covello.
Il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà ha preso parte ai lavori, ma non aveva diritto di voto. Rimane di fondo il suo scetticismo espresso dai delegati a lui vicini che conferma l’ormai progressivo allontanamento da Matteo Renzi.
Spostamenti verso l’area Franceschini dei delegati di Nicodemo Oliverio che pure ha deciso di votare a favore della mozione Franceschini. Scontato il no dell’area orlandiana e di Carlo Guccione.
Una varietà di posizioni, insomma, che sia a livello nazionale che calabrese la dice lunga sul momento di grande difficoltà che vive il partito, sempre di più sull’orlo di una nuova scissione.
La scelta di rinviare la conta, inoltre, lascia scoperte le Regioni, compresa la Calabria che sono alle prese con i rinnovi delle segreterie regionali. Alla vigilia ci si aspettava la fissazione della data del congresso per l’autunno e il congelamento dell’assise calabrese fino a quella data. Adesso, invece, tutto è possibile. Il rinvio della discussione lascia aperta la finestra immaginata da Magorno, anche se i tempi tecnici fino al 23 giugno sarebbero davvero assai risicati. Ma il partito calabrese in questo momento e con le tensioni che si respirano a tutti i livelli sarebbe in grado di reggere un congresso con primarie?
Se ne capirà qualcosa in più nei prossimi giorni quando la Commissione per il congresso e la direzione del partito dovranno decidere definitivamente se fare slittare l’assise o avviare la macchina delle primarie. Affrontando la questione che nelle ultime settimane è magicamente sparita dall’agenda politica del Pd calabrese.