Maurizio Landini conclude il suo breve tour in Calabria ad Amantea per parlare di bonifica del territorio e di legalità. La Cgil calabrese lo annuncia di fatto come segretario nazionale e, ormai, nei fatti lo è già, considerato che, la sua mozione congressuale, ha riscosso circa il 98% dei consensi. Manca solo la consacrazione formale nella sede congressuale che si terrà a Bari il 25 gennaio. Il segretario in pectore ha voluto recarsi alla baraccopoli di San Ferdinando, e da lì ha usato parole durissime per il permanere della baraccopoli. «Una vergogna da cancellare al più presto», - ha affermato - ai microfoni della nostra testata per il talk di Pubblica Piazza.


Sono andato ad attenderlo al campus Temesa di Amantea, non solo per motivi puramente giornalistici, ma spinto anche dalla curiosità intellettuale e politica per un personaggio atipico nel panorama sindacale del momento e, quasi, un marziano nell’universo della sinistra italiana nell’epoca della maggiore decadenza per l’area che fa riferimento alla storia del movimento operaio. E finalmente, dopo anni, un leader che parla di lavoratori e popolo, di sfruttatori e sfruttati, di dignità del lavoro, ma anche di investimenti nelle infrastrutture e di futuro. Finalmente un uomo della sinistra che non ostenta il liberalismo per distrarre lo sguardo degli osservatori dalla propria storia personale di operaio metalmeccanico e di comunista. Privo di qualsiasi complesso politico nel parlare di eguaglianza sociale e giustizia sociale.


E, finalmente, vivaddio, un leader di sinistra che non abbia la spocchia del saputello fresco di convegno alla city londinese o peggio da una visita alla Silicon Valley e con la pretesa farlocca, magari, di insegnarci dove va il mondo. Basta con i dirigenti di una presunta sinistra, profeti del nuovo indeterminato a tutti i costi, i quali, hanno guidato la sinistra alla bancarotta elettorale e ideale. Basta con i dirigenti consunti e sterili orfani di Blair, Clinton e Obama. Finalmente un quadro politico di vecchia scuola che viene dalla catena di montaggio. Uno che quando parla di salario, giustizia sociale, diritti dei lavoratori sa bene di cosa parla.


Landini ha sostenuto senza giri di parole che bisogna cancellare lo sfruttamento. E proprio parlando della baraccopoli di San Ferdinando ha affermato che se «passa un’idea che anziché sfruttare al meglio la vocazione di un territorio, si punta a sfruttare la manodopera in maniera sovraumana, significa anche che non c’è futuro per la Calabria stessa. Superare la baraccopoli – ha proseguito - significa rilanciare con forza un’idea del lavoro con diritti e con una diversa idea di sviluppo anche della Calabria, che deve valorizzare la filiera dei prodotti che ha e portare avanti con forza il rilancio degli investimenti sul territorio». Landini poi critica la manovra di questo governo perché a suo avviso va verso la direzione opposta a questa idea.


Nel corso del suo intervento, non ha risparmiato una stoccata al Ministro degli Interni Matteo Salvini, impegnato in una strumentalizzazione eccessiva dell’arresto del terrorista Cesare Battisti in chiave antisinistra, il segretario della Cgil in pectore, infatti, ricorda a Salvini che «se i terroristi sono stati sconfitti in questo paese, è grazie a quelle lotte che il movimento dei lavoratori ha fatto, non è che sono stati sconfitti grazie a qualcos’altro. Piuttosto – ha aggiunto tra gli applausi l’ex segretario della Fiom - la riflessione che bisognerebbe fare è un’altra, e cioè: se la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta da oltre 150 anni sono ancora più forti di prima, è perché il sistema politico è stato connivente con la mafia, la ndrangheta e la camorra. Oppure vogliamo far finta che non sia così? - Si è chiesto provocatoriamente - E ve lo dice uno che non è calabrese, sono di Reggio Emilia. E se uno ci riflette il più grande processo contro la ndrangheta è stato fatto nella mia città. Se uno ci riflette – ha proseguito ancora - si rende conto cosa siamo riusciti a fare? Oggi abbiamo fatto in modo che tutte le mafie siano presenti in tutto il paese allo stesso modo. Chiediamoci perché è avvenuta questa cosa, mentre non siamo stati capaci di far s^ che qualsiasi cittadino italiano abbia gli stessi diritti sul piano della sanità, del diritto allo studio. Ci siamo unificati con la presenza di tutte le mafie nel paese. Ciò è avvenuto perché ci sono state delle connivenze che hanno garantito e favorito questo processo».


Tanti i curiosi che ieri sera hanno affollato il teatro del campus Temesa di Amantea e non solo militanti classici della Cgil, ma anche tanti militanti della sinistra e del Pd. Sono in molti a scommettere, infatti, che Matteo Landini sia l’uomo nuovo della sinistra. Colui che da una postazione diversa dalla guida partitica, possa indicare alla sinistra italiana un percorso nuovo e, nello stesso tempo, indicargli la strada per riconquistare la rappresentanza sociale di ceti, categorie, generazioni che dall’attuale sinistra si sentono traditi. Sullo sfondo il caposaldo di sempre: la giustizia sociale. E, d’altronde, Landini, rivendica a sé e alla Cgil, il merito di aver previsto lo schianto del Pd ben prima del 4 marzo, e spiega perché delle grandi battaglie contro i governi Letta, Renzi e Gentiloni. A partire da quella contro il Job Act e sulla scuola.


In sala qualche militante del Pd, timidamente prova a sostenere che quello di Landini sia un linguaggio vecchio, e tuttavia, viene da chiedersi: quale sarebbe il linguaggio nuovo? Quello dei Veltroni, dei D’Alema, dei Letta, dei Renzi che a furia di spingersi verso un nuovo indefinito e mai, comunque, ben delineato, hanno trasformato i partiti della sinistra in organizzazioni politiche che hanno scimmiottato politiche liberiste senza tuttavia mai riuscire a sfondare e conquistare il blocco sociale del cosiddetto moderatismo italiano? Le politiche governative dei governi di centrosinistra non hanno fatto altro che tagliare il ramo sul quale quella sinistra era seduta. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, una generazione di dirigenti nominati per fedeltà ai capi di turno, senza anima, incapaci di suscitare passioni e sogni, i quali parlano come ragionierini della burocrazia europea e dei sistemi forti della finanza.


Forse, e sottolineo forse, sarebbe ora che una sinistra nuova e, soprattutto, senza il complesso di essere figli del comunismo italiano, cominci a parlare di popolo, di lavoratori, di precari, di disoccupati che sono qualcosa di estremamente diverso dal populismo e dal sovranismo. Nelle parole di Landini, ieri, la platea del teatro del campus Temesa di Amantea ha potuto respirare un nuovo linguaggio e anche una certa fierezza delle proprie idee. Forse, l’inizio di un tempo nuovo, chissà. L’intervista a Maurizio Landini andrà in onda alle 15:30 circa, nel corso della puntata di Pubblica Piazza di mercoledì.


Pa.Mo.