I due organi bocciano la sentenza di primo grado espressa da Tribunale di Lamezia Terme che aveva rigettato l'incandidabilità ritenendola piena di contraddizioni che ne andrebbero ad inficiare l’affidabilità e la logica
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«Manifestamente ingiusta, apodittica in alcune sue affermazioni, fortemente contraddittoria e manifestamente illogica nelle sue determinazioni finali nella parte in cui rigetta la proposta ministeriale di incandidabilità nei confronti dell’ex sindaco Paolo Mascaro, accogliendola, di contro, per i signori Paladino e Ruberto dopo aver sottolineato con forza l’esistenza di un condizionamento dell’azione amministrativa dell’amministrazione comunale da parte della criminalità organizzata, sia sotto l’aspetto della formazione del consenso elettorale e quindi dell’elezione dei componenti del consiglio comunale, sia sotto quello dell’imparzialità dell’azione amministrativa in senso stretto».
Il Viminale, rappresentato dall’Avvocatura di Stato e la Procura di Lamezia Terme, usano parole taglienti e affilate come un rasoio per bocciare la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale di Lamezia Terme ha dichiarato nuovamente candidabile l’ex primo cittadino Paolo Mascaro, esprimendosi invece in senso opposto per Paladino e Ruberto.
Diversi gli elementi che renderebbero a loro parere la sentenza contradditoria fino a minare la “logicità e affidabilità”. In particolare, la Procura guidata da Salvatore Curcio e il Viminale considerano incompatibili con la sentenza finale espressa in favore di Mascaro, i passaggi che la precedono in cui viene più volte ribadito come l’infiltrazione mafiosa abbia interferito con il consiglio comunale e le sue competenze in tema di «programmazione dell’azione amministrativa di deliberazione in materia di spesa e di controllo politico dell’attività del sindaco e della Giunta, tanto da ritenersi che […] I’infiltrazione abbia comportato un concreto vulnus all’imparzialità dell’azione amministrativa».
A seguire nella sentenza, evidenziano i ricorrenti, si legge però anche che la diffusa irregolarità amministrativa “non appare riconducibile all’azione del sindaco neppure come omissione di vigilanza”.
Ma un simile giudizio cozzerebbe secondo la Procura e l’Avvocatura con il ruolo di organo politico e di vertice dell’apparato amministrativo comunale proprio di chi indossa la fascia tricolore.
«Tutte le principali attività dell’Ente civico sono state portate avanti dall’amministrazione comunale, sindaco compreso, senza alcuna delle cautele che sarebbe stato necessario adottare a tutela della legalità, specie in un territorio caratterizzato dalla pervicace presenza di sodalizi criminali di tipo mafioso che influenzano fortemente ogni aspetto della vita socio-economica».
Viene poi riportata in superficie l’attività di avvocato del sindaco Mascaro che sarebbe continuata anche durante il suo mandato interessando soggetti in odor di ‘ndrangheta. Circostanza che per il Tribunale di Lamezia Terme «non può essere, tout court, posta alla base di un giudizio di cointeressenza tra il difensore e ambienti criminali» mentre per i ricorrenti sarebbe grave. Una serie di discrepanze che per Procura e Avvocatura andrebbero ad inficiare la «logicità e l’affidabilità della sentenza stessa».