«Che fine ho fatto? Beh, non faccio più politica, ma continuo ad impegnarmi nel sociale. Anche perché la politica non è più quella dei miei tempi…».  Angela Napoli è così, diretta e franca, pacata nei toni ma lineare nei contenuti: difficilmente parte una parola in più, soprattutto quando si parla dei grandi temi dei quali si è sempre occupata, il contrasto alla criminalità organizzata e una battaglia per una politica più pulita.

Una vita all’interno della destra sociale ma soprattutto quasi venti anni all’interno delle istituzioni: cinque diverse legislature, la prima nel 1994 e senza nessuna interruzione fino al marzo del 2013, quando per protesta lascia il suo gruppo politico. Una lunga esperienza che la vede dirigente di primo piano al fianco di Gianfranco Fini, la vicepresidenza della commissione parlamentare Antimafia e le tante battaglie nel parlamento convintamente tra le fila del centrodestra. In mezzo, tante battaglie che la vedono in prima fila in posizioni anche fortemente contrapposte rispetto ai suoi colleghi di partito: tanti i richiami ai suoi colleghi di coalizione e non solo, gli appelli e anche le prese di posizione contro una politica che non riconosceva più.

Ci sentiamo a poche ore dallo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, quella che definisce una tragedia che deve far riflettere sulla complessità di questo scenario, e decidiamo di partire proprio da qui, dai giorni nostri.

Cosa fa Angela Napoli oggi? 
«Angela Napoli è una donna che ha abbandonato la politica attiva, che non fa più parte di alcun partito politico ma che non ha abbandonato la vita sociale, anche per portare avanti quegli argomenti che sono stati parte integrante della mia attività politica. Ho fondato un’associazione che presiedo, “Risveglio ideale”, che promuove il rispetto della legalità e la lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione. Lavoriamo con i familiari delle vittime di mafia, siamo presenti nelle scuole calabresi e abbiamo lanciato il progetto “Ndrangheta Off”, per presentare gli studenti sin dalle scuole medie cosa sono i fenomeni criminali. E poi, sa una cosa? La politica non è più quella dei miei tempi. Quella al servizio dei cittadini, con la P maiuscola: adesso è più rivolta a gestire le cose personali, i piccoli interessi».

Lei ha sempre militato in partiti della destra sociale, da Alleanza Nazionale a Futuro e Libertà seguendo Fini. Che effetto le fa vedere quell’esperienza al governo adesso? 
«La mia esperienza inizia ancora prima, ai tempi del vecchio Msi di Giorgio Almirante. Io fui tra quelli che approvarono il passaggio in Alleanza Nazionale, perché sono ancora adesso convinta che quell’esperienza politica dovesse modernizzarsi. Adesso bisogna fare i conti con il fatto che il governo in carica è stato voluto dalla maggioranza dei cittadini e va rispettato: anzi, le dirò, credo fosse proprio ora di arrivare a un governo di questo tipo. Certo, mi lasci anche dire che è comunque un’esperienza molto annacquata: ci sono la Lega, Forza Italia, le forze di centro, ed è necessario mediare. Tante cose tra quelle che vedo non appartengono alla destra sociale, seppur liberale e moderna: forse è anche questa la forza di Giorgia Meloni, quella di saper mediare e trovare soluzioni».

A quali scelte fa riferimento?
«Beh, mi riferisco in particolare a quanto sta succedendo in tema di giustizia. Nella mia vita mi sono sempre scontrata con l’accusa di essere eccessivamente giustizialista e di non rispettare la Carta costituzionale. Eppure, di questi tempi, mi pare ci sia invece un po’ troppo garantismo: ripeto, rispetto i dettami della Costituzione, ma chi sbaglia deve pagare. Chi commette un reato deve sapere che dovrà affrontare delle conseguenze, altrimenti la garanzia dell’impunità vince. Ecco, determinate scelte di questo governo mi sembrano sbagliate, capisco che forse siano necessarie in ottica mediatoria, ma non sono frutto e non appartengono alla nostra destra ed a quella cultura. Senza il rispetto della giustizia non c’è legalità».

Qual è il suo giudizio del premier Meloni? 
«Riconosco nella presidente una grande capacità intellettuale. Non sempre condivido le sue scelte, ma capisco che serve una sintesi. Ha però avuto la forza di rimettere in gioco l’Italia a livello internazionale, si batte per farne sentire la voce. L’Italia ha sempre avuto scarsa considerazione: riconosco invece alla presidente Meloni la capacità di rimettere in gioco le scelte e le definizioni prese in altri contesti per difendere il nostro Paese».

Lei qualche anno fa dopo alcuni arresti propose di sciogliere il Consiglio regionale calabrese. Adesso le inchieste colpiscono spesso la politica senza però scalfire l’opinione pubblica. 
«Ultimamente pare che essere indagati per un politico costituisca avere una medaglia, anche perché la politica continua a non prendere le dovute distanze. Io dico che sarebbe opportuno, se indagati, prendersi un momento di pausa e fermarsi finché non vi è chiarezza. Allora la mia proposta fu di impatto, colpì l’opinione pubblica: qualcuno mi attaccò dicendo che non sapevo che non fosse possibile farlo, ma io lo feci per dare un input, per far capire alla politica che determinate distanze vanno prese. Questo non vuol dire colpevolizzare, quello tocca ai processi, però bisogna dimostrare di avere gli anticorpi. Negli anni invece non fa più rumore un politico coinvolto in qualche inchiesta, è acqua che scorre: questo però, mi perdoni, è tipico del cittadino calabrese».

In che senso?
«Il calabrese non ha capacità di indignarsi, se accade qualcosa che non lo tocca personalmente non gli importa nulla. Lascia correre, non gli interessa. Le faccio un esempio: io uso molto i social, Facebook in particolare, e pubblico tante notizie. Se pubblico notizie di provvedimenti giudiziari che colpiscono la criminalità organizzata, o anche persone al di sopra di ogni sospetto, nessuno mette un like, scrive, commenta. Anche a Taurianova, dove vivo, se arrestano latitanti di questo paese e io esulto, commento con enfasi, i cittadini il like non lo pigiano».

Potrebbero avere ancora paura? 
«No, io non credo abbiano paura, penso manchi proprio la volontà di indignarsi, nella vita di tutti i giorni. Siamo circondati nelle nostre realtà dalla criminalità, è un cancro che va estirpato e non basta la magistratura, non possiamo demandare tutto a loro».

A proposito di questo, l’esperienza del procuratore Gratteri è al termine: come la giudica e che impatto ha avuto sulla nostra regione secondo lei? 
«La Calabria ha bisogno di una maturazione profonda, serve tempo, ma in questi anni qualcosa è cambiato ed il procuratore Gratteri è stato un attore importante. È riuscito a dare fiducia alle persone, adesso vanno a denunciare, non hanno paura. E poi i calabresi hanno anche figure come Bombardieri che fa un eccellente lavoro a Reggio, Falvo a Vibo Valentia che anche nel settore ambientale sta raggiungendo traguardi importanti. Credo che questa stagione sia stata di incoraggiamento anche per molti giovani magistrati, e sentire Gratteri dire ai calabresi di non preoccuparsi, perché la procura continuerà a lavorare, è importante: dice ai cittadini che c’è un metodo di azione, un lavoro che va avanti, mantiene alta la fiducia».

Lei negli anni si è battuta molto, ad esempio, sulle norme riguardanti lo scioglimento dei Comuni, adesso molto contestate. Cosa ne pensa? 
«Quella norma è a me molto cara, anche perché venne creata per sciogliere per la prima volta il Consiglio comunale di Taurianova. Da tempo, però, quella norma va aggiornata perché ha un limite, attacca solo il potere politico e non quello amministrativo. La politica e la burocrazia sono due facce della stessa medaglia, una progetta e l’altra esegue: se cacciamo i politici e non i tecnici coinvolti facciamo davvero poco. Gli enti locali però sono cambiati così come le consorterie criminali, adesso le infiltrazioni sono più subdole: se per una persona coinvolta sciolgo tutto il consiglio comunale vado a ledere la democrazia di un paese, mentre adesso abbiamo gli strumenti per circoscrivere i problemi e allontanare solo quel consigliere, quel vicesindaco, quel funzionario che è sceso a patti con la ‘ndrangheta o che si è fatto corrompere. D’altronde, le commissioni parlamentari conoscono a fondo il problema, ma non si arriva mai al punto. Sa, quando il Parlamento lavora sui rapporti tra politica e criminalità mette sempre il freno a mano…».

Quindi è ancora così? 
«Sì, lo dico per esperienza diretta. Sono stata relatrice della legge Severino, il provvedimento che dice che il politico che viene toccato da condanne deve farsi da parte. Secondo alcuni, ad esempio, può ancora continuare a gestire la cosa pubblica, è impensabile. Le racconto questo aneddoto: io continuavo a proporre emendamenti restrittivi e il Parlamento li bocciava. Un giorno il ministro mi convocò e mi disse: “Angela, parliamoci chiaro: se continuiamo così la legge non passerà mai. Facciamo una norma che serva da base per poterne fare altre”. Io e il ministro dovemmo in soldoni cedere, perché ci rendemmo conto che se fai una norma che tocca il potere politico, deve essere necessariamente annacquata. Succede con tutti, destra e sinistra».  

Adesso il centrodestra è al governo anche in Calabria, da anni ormai. L’esperienza della Santelli chiusa tragicamente, l’interregno di Spirlì e adesso il governo Occhiuto. Cosa ne pensa del lavoro che stanno facendo?
«Beh, intanto anche questo è un centrodestra molto annacquato, con forze di tutti i tipi. Io penso che questa amministrazione sia totalmente assente su alcuni argomenti e che manchi di una programmazione certa sui reali problemi della Calabria. Come i precedenti governi, interviene in base alle criticità, quando succede qualcosa: non c’è un’agenda precisa che tocchi i vari settori necessari alla crescita della Calabria, si producono sempre norme per tamponare le emergenze, quando accade qualcosa. E poi la sanità: voglio bene al presidente Occhiuto, siamo stati colleghi, ma ha sbagliato nel farsi nominare commissario per la sanità. La situazione è incancrenita, servono manager e uomini all’altezza della situazione e della sfida, ma qui i commissari delle Asp si succedono, arrivano e vanno via, come si programma così? Restano solo i problemi. E poi pensiamo al porto, alle scelte nazionali che vogliono sempre affossare Gioia Tauro rispetto ad altri scali, e i trasporti, il lavoro. Io non voglio essere tra le persone che dicono “il presidente Occhiuto non ha fatto nulla”, ma non c’è una programmazione. E poi, senza offendere nessuno, ma la Giunta non è all’altezza. Di alcuni non si conosce il nome, cosa fanno? Manca attenzione per determinati settori. Ho letto che vorrebbe essere il primo presidente a ricandidarsi e vincere, e glielo auguro: deve però alzarsi un po’ di più le maniche della camicia, avere più coraggio e ricordarsi che la Calabria non è solo Cosenza e provincia. E poi deve capire che da solo non è facile, gli serve aiuto: a questo servirebbe una giunta forte, e che lui non ha».

Nella politica di oggi, chi le piace e chi non sopporta? 
«Ammiro Giorgia Meloni e non sopporto assolutamente Giuseppe Conte. Però, la prego, non mi chieda chi non sopporto in Calabria, mi eviti questa cosa. Sa perché? Gli interessati lo sanno, non hanno niente a che fare con me. Ognuno ha i suoi fan, è giusto: io spero però che tutti si facciano un esame di coscienza e che capiscano che chi ha un ruolo non deve uccidere le speranze dei nostri giovani e lavorare per loro».

La coscienza, quella che l’ha portata a intervenire sul caso dei manifesti funebri del Comune di Petilia Policastro per esprimere cordoglio in occasione della morte del killer di Lea Garofalo. Lei si è schierata immediatamente. 
«Quanto successo a Petilia Policastro è di una gravità assoluta e lascia senza parole, e non capisco come non si sia arrivati allo scioglimento del Consiglio comunale. Se come ha detto lui non era d’accordo, è assurdo che un sindaco non si svegli la notte e vada a strappare con le proprie mani quei manifesti funebri per il boss, anche perché questo assolve di fatto tutta la popolazione, la incoraggia da un certo punto di vista, portando anche a giustificare scene come i palloncini all’arrivo del carro funebre. Vedere che la morte di Lea Garofalo non ha insegnato niente ai cittadini di Petilia Policastro è triste: ma poi, perché non si è intervenuti per bloccare tutto? Anche la Chiesa poteva prendere posizione e non l’ha fatto. Non si può stare da un lato a guardare, è tutto troppo triste, ancora una volta non abbiamo imparato nulla».