La leader dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” dice che in Calabria tutti i penitenziari hanno più detenuti che posti. Le situazioni più critiche a Castrovillari e Locri. Sul fronte della Polizia penitenziaria l’organico è troppo striminzito
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Rita Bernardini è figura storica del Partito radicale di cui è stata segretaria e membro del consiglio generale. Più volte deputata ha incentrato la sua attività parlamentare sui temi della giustizia e Nel febbraio 2010 ha condotto uno sciopero della fame per l'ottenimento di 10 obiettivi politici che riguardano principalmente le carceri. Con lei abbiamo parlato della situazione delle carceri in Italia con particolare riferimento a quella calabrese.
Bernardini, partiamo da un piccolo bilancio della situazioni nelle carceri italiane e l'attività di "nessuno tocchi Caino"…
«Il bilancio purtroppo è DI-SA-STRO-SO. Da quando si è insediato il Governo Meloni la popolazione detenuta è aumentata di 5.237 unità mentre la capacità ricettiva dei 189 Istituti penitenziari è rimasta invariata. Il sovraffollamento è arrivato al 133% a livello nazionale con situazioni impressionanti come quella San Vittore dove in 100 posti lo Stato italiano ci mette 212 detenuti. Aggiungo che gli agenti di polizia penitenziaria sono 6.300 in meno rispetto alla striminzita pianta organica fissata da Nordio per le carceri e che gli educatori continuano ad essere drammaticamente pochi rispetto alle esigenze di una popolazione detenuta che sfiora le 62.000 unità: sono infatti solo 983. Insomma, credo che non ci si possa meravigliare se nel corso del 2024 abbiamo battuto tutti i record delle morti in carcere: 252 morti dei quali 89 suicidi fra i detenuti e 7 fra gli agenti. E questo nuovo anno è iniziato nel peggiore dei modi con già sette detenuti che si sono tolti la vita e altri sette che sono morti per “altre cause”. Tutto ciò dimostra con parametri inoppugnabili che lo Stato italiano è fuori-legge e fuori-Costituzione! Come Nessuno tocchi Caino noi proseguiamo il “viaggio della speranza” nelle carceri. In due anni ne abbiamo visitate 220 relazionando alle istituzioni il disastro che abbiamo constatato».
Cosa pensa delle ultime iniziative del Governo sul tema con riferimento al decreto-legge "Carceri" del luglio scorso?
«Il nulla vestito di niente accompagnato da dichiarazioni negazioniste e contraddittorie come “il sovraffollamento non esiste, noi rispettiamo i parametri europei”, o “i suicidi non hanno nulla a che fare con il sovraffollamento”. A queste prese di posizione se ne sono aggiunte altre esilaranti come quella dell’uso delle caserme, dell’invio dei detenuti stranieri nei loro paesi d’origine o dei tossicodipendenti in comunità: tutte soluzioni prospettate in passato e mai realizzatesi. Poi c’è stata la promessa di favorire un più facile accesso alle misure alternative al carcere smentita seccamente dall’introduzione di nuove fattispecie di reato che facilitano l’ingresso nei penitenziari».
Ma quale sarebbe l’interesse del Governo in tutto ciò?
«Vogliono prendere voti mostrando la faccia feroce senza porsi seriamente il problema della tanto sbandierata sicurezza quando tutti sanno che il carcere è criminogeno e fomenta la recidiva di chi sconta l’intera pena in quel luogo illegale che nulla ha a che vedere con il principio costituzionale del reinserimento sociale del condannato. Sono stati così spudorati da rinviare la proposta di legge Giachetti/Nessuno tocchi Caino sulla liberazione anticipata speciale affermando che il “decreto Nordio” avrebbe risolto il problema del sovraffollamento; lo abbiamo visto, infatti! Un impatto uguale a zero».
Nelle carceri mancano le equipe di psicologi e assistenti sociali e il numero dei suicidi fra i detenuti è in netto aumento. Cosa fare?
«Gli assistenti sociali, che sono pochi e oberati da mille incombenze per curare l’esecuzione penale esterna al carcere, con molta difficoltà riescono a stare dietro ai problemi di coloro che sono reclusi in carcere. Gli psicologi sono pochissimi per non parlare dello staff dei sanitari che dovrebbe assicurare la gestione della salute nei penitenziari. Sotto questo aspetto c’è da dire che ogni Asp fa come vuole e, in generale, tende a risparmiare sulla sanità penitenziaria. Colpevolmente non esistono a livello nazionale le piante organiche di medici, specialisti, infermieri, Oss. Ci fu una conferenza unificata nel 2015 che aveva stabilito linee guida nazionali che le regioni avrebbero dovuto rispettare con atti conseguenti, ma nessuna regione ha fatto quel che doveva».
Di fronte a questa situazione cosa state facendo?
«Insieme alle Camere Penali abbiamo fatto una richiesta massiccia di accesso agli atti per verificare il contenuto delle due relazioni che ogni Dirigente Sanitario deve fare all’anno a seguito di visite per verificare la “salubrità” di tutti i luoghi del carcere, comprese le celle (art. 11 O.P.). Entro il mese di febbraio renderemo pubblici gli esiti di questa rilevazione. Lei riesce ad immaginare cosa può succedere in una sezione detentiva di 200 persone se un recluso si sente male di notte e c’è un solo agente a governare la situazione? O se persone fragili a rischio suicidario devono ricevere l’assistenza di un personale sanitario e di custodia che letteralmente non c’è?».
In Calabria manca persino la figura del Garante dei detenuti, mentre nel penitenziario di Paola si è registrato il terzo suicidio dall'inizio dell'anno…
«Purtroppo, nel frattempo, i suicidi sono arrivati a 7. E’ gravissimo che la Regione non abbia proceduto alla nomina, tanto più che la Calabria ha anche il neo della mancanza del Garante a Vibo Valentia».
La popolazione carceraria in Calabria conta quasi 3mila detenuti, di cui circa il 40% è in attesa di giudizio quali proposte portate avanti per snellire la popolazione carceraria?
«Quel che ci vorrebbe subito (anzi, da tempo) è un provvedimento di amnistia e di indulto che decongestioni le carceri e il numero spropositato di procedimenti penali e che sia volto a far ritornare il nostro sistema nella legalità. Lo dice il Papa, lo dice Mattarella, ma non ci sono orecchie buone per ascoltare. Come dicevo in precedenza, con Roberto Giachetti, abbiamo presentato la proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale. E’ proposta ragionevole che consentirebbe a qualche migliaio di persone che in carcere si sono comportate bene, di poter uscire dall’inferno delle loro celle. È stata già adottata nel 2014 quando l’Italia fu condannata dalla Corte EDU per trattamenti inumani e degradanti».
E la situazione calabrese?
«In Calabria, tutte le carceri hanno più detenuti che posti. In particolare, le case circondariali di Castrovillari e Locri sono le più sovraffollate. Quanto agli agenti, ne mancano 174 rispetto alla già striminzita pianta organica ministeriale, mentre gli educatori sono solo 53 per tutti i quasi tremila detenuti calabresi. Più della media nazionale ma sono sempre davvero troppo pochi per i compiti che devono svolgere».
Un tema molto delicato è quello della gestione dei detenuti con disturbi psichiatrici che sembrano abbandonati a loro stessi…
«Non “sembrano”, “sono” abbandonati a loro stessi. Casi psichiatrici e dipendenti problematici da sostanze stupefacenti in carcere non ci devono proprio stare perché devono essere curati in luoghi con adeguato personale sanitario e socio-riabilitativo che in carcere non c’è e non ci può essere, tanto più per come è organizzata ora la sanità penitenziaria e per l’eccessivo numero di detenuti. Lei non sa quante madri ci chiamano perché hanno il figlio in carcere e si tormentano pensando che possa commettere un gesto estremo. Finché non cambia la situazione succede e continuerà a succedere che questi giovani si tolgano la vita, ma è lo Stato e chi lo rappresenta ad avere sulla coscienza queste morti».