I Brics riuniti in Russia da Vladimir Putin hanno schierato le loro forze e hanno lanciato una sfida epocale all’Occidente. Al vertice di Kazan, capitale del Tatarstan (Terra dei Tatari, una delle ventiquattro repubbliche russe) e sesta per abitanti della Federazione, ci è andato personalmente il potentissimo leader cinese Xi Jinping. Mi è piaciuta una frase del resoconto pubblicato dal quotidiano l’Avvenire: «C’è un mondo visto da Kazan, e uno visto da Washington». Sintesi esemplare, perché è proprio così. A circa quindici giorni dalle elezioni per la Casa Bianca l’altra parte del mondo, sempre più inevitabilmente affiatata, ha lanciato messaggi tonanti e sta lì ad aspettare che cosa si deciderà di fare nell’Impero Americano e ad Ovest.

Chi sono i Brics? Ripetiamolo per quanti non hanno ancora compreso che è iniziato il terzo millennio: Cina, Russia, India, Brasile, Sudafrica. Si sono aggiunti di recente Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti. L’Arabia Saudita sembrerebbe pronta ad aggregarsi. Nella metropoli tatara è giunto anche il presidente turco Erdogan, per quanto rappresentante di un Paese Nato. La stampa supinamente appiattita su un modello superato di atlantismo, ma in verità molto miope e nei fatti “nemica” di processi avanzati, continua a descrivere scenari che la nitidezza dei fatti sta smantellando. Brics e alleati, che pur al proprio interno hanno fondamentali dialettiche aperte (si pensi solo all’egemonia sull’Asia con la rivalità tra i colossi Cina e India), non intendono accettare più il monolateralismo Usa e puntano al multilateralismo. Federico Rampini sul Corsera ha messo in evidenza come lo storico raduno di Kazan abbia segnato anche l’avvio del disgelo tra Cina e India, due potenze atomiche con tre miliardi di residenti: è stato siglato un primo accordo sul conteso confine dell’Himalaya. Il premier indiano Modi e il suo partito nazionalista tendono verse una posizione di non-allineamento, hanno detto “no” alle sanzioni contro la Russia e sono entrati in una dura crisi diplomatica con il Canada.

Non un solo Stato alla guida del mondo, chiedono i Brics, bensì l’affermazione di un assetto policentrico e paritario. È ciò che avrebbe dovuto garantire l’Onu, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma senza riuscirci. Clamorosa in questi giorni la sfida di Israele, grande una volta e mezzo la Calabria, ma tanto potente e autorevole da “criticare” (la vogliamo dire in modo elegante) i Caschi blu stanziati nel sud del Libano! Al centro del confronto geopolitico mondiale ci sono temi dirimenti: evoluzione scientifico-tecnologica con particolare riferimento all’intelligenza artificiale e alla conquista dello spazio; farmaceutica e pandemie; transizione dell’industria verso nuove frontiere; produzione energetica ed era post petrolio; materie prime rare; sicurezza alimentare; controllo e tutela delle informazioni.

Il primato Usa, sul quale ha lavorato la presidenza di Joe Biden e sul quale scommette una parte consistente del Partito democratico a stelle e strisce, non convince la Cina, la Russia, l’India, il Brasile e persino diversi Paesi Arabi, sia asiatici sia africani. Il pragmatico Donald Trump sembra più congeniale per far entrare gli Usa nel Terzo Millennio e per guarire due errori strategici compiuti da un certo establishment anglosassone: unire gli interessi di Cina e Russia; non lavorare con convinzione per la nascita degli Stati Uniti d’Europa. Assurda, ad esempio, l’uscita del Regno Unito dalla Ue, quasi che fossimo ancora ai tempi di Winston Churchill.

Agli improvvisati analisti che teorizzano un’autonomia geopolitica italiana che non esiste, ricordo che nel Belpaese ci sono alcune delle più importanti basi Usa-Nato d’Europa, con migliaia di militari americani stanziati in maniera stabile; che a Napoli-Capodichino c’è il Comando Usa della Sesta flotta del Mediterraneo e dell’U.S. Naval Forces Europe; che le basi aeree di Aviano e di Sigonella hanno valenza strategica per gli equilibri di almeno tre Continenti. Non mi dilungo sul controllo degli armamenti nucleari. La partita geopolitica di questo fine 2024 è chiara: si è più amici degli Americani se li si fa ragionare sull’utilità del multilateralismo, evitando conflitti potenzialmente letali, o se si agevolano quei poteri forti che spingono per un improbabile monolateralismo? Le categorie novecentesche di sinistra e di destra non sono più idonee a dare risposte di questa natura, ma servono nuove elaborazioni politico-culturali peraltro foriere di alleanze anche inedite.

Da Kazan, Putin e Xi Jinping hanno detto: la partnership strategica fra Russia e Cina «lavora per la stabilità nella situazione di caos mondiale». I dieci Paesi che attualmente aderiscono ai Brics (ma pare vogliano presto aderire molti altri) pesano il 45% della popolazione del Pianeta, il 30% della superficie territoriale complessiva del globo, il 27% del Pil mondiale, una parte assolutamente rilevante delle riserve di petrolio e di minerali rari. Ecco perché si parla, sulla stampa che ragiona, di imminente rimodellamento dell’ordine mondiale.

Chiudo con un passaggio storico raccontato a mo’ di “aneddoto”. In Italia abbiamo la Costituzione Repubblicana perché quando stava per finire la Seconda Guerra Mondiale il leader dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, a Mosca (marzo 1944) ebbe una convocazione e comunicazione chiara da parte di un tipo abbastanza determinato, Josif Stalin, peraltro coadiuvato dal diplomatico e giurista Andrej Vysinskij e dal ministro degli Esteri Vjaceslav Molotov (altri due teneroni!). La guida ferrea dell’Urss (notoriamente poco aperta alle critiche e ai dissensi) disse a Togliatti: torna a casa e scordati il comunismo rivoluzionario, con Usa e Regno Unito abbiamo diviso il mondo in aree di influenza che non prevedono una società bolscevica in Italia. La storiografia contemporanea utilizza l’espressione “Svolta di Salerno”, dell’aprile 1944, per indicare l’avvio di un dialogo costruttivo fra i partiti antifascisti italiani (democristiani, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali, e finanche parte dei monarchici…). Ne derivarono l’ingresso del Pci nel governo Badoglio, l’abdicazione del monarca in favore di Umberto di Savoia, l’elezione di un’Assemblea Costituente, il referendum che scelse la Repubblica. Che lezione ne deriva? Le “rivoluzioni vere” dei Paesi piccoli non sono mai endogene, bensì esogene: i protagonisti interni sono solo delle leve eteroguidate per azioni tattiche o talora strategiche.

Il voto Usa del 5 novembre ha un’importanza cruciale. Per tutti e in particolare per l’Italia e per l’Europa! Un’ultima considerazione mia personale: le civiltà più antiche, con culture identitarie forti (cinesi, indiani ed egiziani in primis, e poi anche russi, mondo arabo, iraniani, etiopi…) non accettano il “mostro” della globalizzazione che mira a costruire un’unica società standardizzata, uniformata, guidata dagli interessi soffocanti di poche multinazionali. C’è un errore di fondo in certe visioni americane, che è quello di immaginare come la forza dei popoli dipenda dall’economia, dal livello tecnologico e dagli armamenti. Non è solo così: ci sono due energie più grandi ancora: la cultura e la spiritualità! Il che spiega forti resistente antiglobaliste anche in Europa e in Italia.