I playmaker nazionali non riescono a posizionarsi. Un settore tradizionalmente di destra che però potrebbe arrivare con i trattori sotto Palazzo Chigi. Gli italiani esprimono sostegno ma poi comprano i prodotti più economici che vengono dall’estero
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La protesta dei trattori è di destra o di sinistra? In altre parole, e in chiave morettiana, “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. È una tigre difficile da cavalcare quella della protesta degli agricoltori contro le politiche europee, che dalla Germania è dilagata in Italia, restando però in un limbo politico che rende difficile il posizionamento da parte dei playmaker nazionali. Un settore tradizionalmente vicino alla destra sembra prendersela col governo Meloni dall’indole sovranista ma, con buona pace delle intenzioni iniziali, non abbastanza. Le continue immagini di Giorgia pappa e ciccia con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen («Ma questa sta sempre in Italia?», avrebbero sbottato recentemente a Berlino e Parigi) non sono certo un buon viatico per farsi amici chi sta percorrendo la Penisola a passo d’uomo sui trattori, con l’odiata Ue nel mirino.
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Il centrosinistra, dal canto suo, non è mai stato in grande sintonia con gli imprenditori agricoli, settore nel quale si annidano, soprattutto al Sud, grandi sacche di caporalato e lavoro nero. Eppure, a sinistra come a destra, si dicono tutti d’accordo con la protesta degli agricoltori, si spendono in roboanti dichiarazioni di condivisione e appoggio. Anche gli italiani, nella stragrande maggioranza, esprimono sostegno alle ragioni della protesta, salvo poi continuare a fare acquisti nelle grandi catene di distribuzione cercando frutta e verdura con il prezzo più basso, prodotti che spesso vengono importati da Spagna e Nord Africa.
Emblematico, in Calabria, l’esempio dei finocchi, una delle colture più diffuse nel Crotonese e nel Catanzarese, come abbiamo raccontato qui. Il prezzo a cui la grande distribuzione è disposta a comprarli è di 10 centesimi al chilo, ma per produrli di centesimi ne servono 20 per chilo. Il risultato è merce invenduta e destinata al macero. Contestualmente, il costo del gasolio agricolo è passato in tre anni da 50/70 centesimi del 2021 a circa 1,50 euro al prezzo attuale. Ovvio che la rabbia monti. Ma il livello di guardia non è stato ancora raggiunto.
Ieri sera, mentre sul palco dell’Ariston veniva letto un comunicato degli agricoltori, circa 200 i trattori di Riscatto agricolo hanno sfilato in corteo sul Raccordo anulare di Roma. I mezzi, partiti dal presidio del movimento su via Nomentana, hanno percorso gli oltre sessanta chilometri del Gra prima di rientrare al punto di raccolta. La scelta di inscenare la protesta di sera è stata presa per non creare eccessivi disagi alla circolazione in orario d’ufficio. Una decisone saggia e apprezzabile, ma che rende l’idea di una protesta che forse non è ancora esplosa in tutta la sua virulenza.
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In serata, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha raggiunto il presidio e si è confrontato con i manifestanti, ennesimo tentativo del Governo di addomesticare una protesta che, in teoria, dovrebbe avere come obiettivo proprio Palazzo Chigi. Anche per questo, alla fine, i manifestanti non sono riusciti a salire sul palco di Sanremo, come avevano chiesto e come Amadeus era disposto a concedere. Troppe le incognite di una presenza difficile da incasellare politicamente, anche alla luce dei sondaggi che rivelano come la marcia infinita dei trattori su e giù per l’Italia stia comunque erodendo il consenso del Governo e di Giorgia Meloni.
Si sono dovuti accontentare di un comunicato, letto solo in parte da Amadeus (la versione integrale è stata diffusa in sala stampa), nel quale hanno ribadito i motivi della mobilitazione: «Chiediamo una legge chiara che garantisca la giusta distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare, con reciproci benefici per i produttori agricoli e per i consumatori. Noi agricoltori non siamo in piazza per chiedere aiuti o sussidi, ma solo per assicurarci che ci venga corrisposta la giusta remunerazione per il duro e insostituibile lavoro che svolgiamo quotidianamente, grazie al quale ogni cittadino può mangiare ogni giorno».
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Intanto, a Palazzo Chigi è scontro in chiave elettorale tra i due principali alleati di governo, Lega e Fratelli d’Italia. Il tavolo istituzionale con tutte le associazioni “rappresentative” del mondo agricolo, al quale si è decisa l’esenzione dell’Irpef dominicale e agricola per chi ha redditi fino a 10mila euro, avrebbe dovuto chiudere la partita. Invece Salvini ha rimesso la palla al centro: «Si può fare di più», ha detto durante un comizio in Basilicata.
Parole che rischiano di vanificare la mossa di Meloni, che aveva convocato senza clamori Coldiretti, Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Fedagripesca e Copagri, proprio con l’obiettivo di sbloccare l’impasse con gli agricoltori e recuperare terreno su quello che è sempre stato uno dei suoi campi di battaglia: «Vi abbiamo sempre difesi dalle scelte sbagliate imposte dalla Commissione europea - ha detto alla platea di associazioni, mettendo poi le mani avanti -. In 16 mesi, però, non si fanno miracoli ma credo che l'inversione di tendenza sia evidente». Poi, un pacchetto di promesse: Giusto prezzo per i prodotti agricoli, blocco europeo del cibo prodotto in laboratorio, difesa dalla concorrenza sleale e un tavolo ad hoc sul fronte del credito e del lavoro. Ma di immediatamente attuabile c’è solo il taglio dell’Irpef, sminuito poi dal leader del Carroccio. Insomma, work in progress.