Archiviare l’ipotesi come “impossibile” significa dimenticare che appena sei mesi fa il Cavaliere puntava al Quirinale senza alcun imbarazzo. Intanto ha messo da parte i toni moderati, insieme a Salvini ha fatto cadere Draghi e tratta a pesci in faccia i suoi ex ministri
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Chi vince le elezioni governa. Una banalità che in Italia non è scontata come potrebbe sembrare, anche a causa di una legge elettorale che promuove pervicacemente l’ingovernabilità.
Draghi è caduto da meno di 48 ore ma la campagna elettorale già impazza. D’altronde, non c’è tempo: entro Ferragosto vanno presentati simboli e contrassegni elettorali ed entro il 22 vanno depositate le liste con i nomi dei candidati.
Ovvio, quindi, che si spinga da subito sull’acceleratore, con il centrodestra (ribattezzato “destracentro” da qualche osservatore politico) che è scattato davanti a tutti. È infatti dalle parti di Salvini, Meloni e Berlusconi che il termometro politico sale più velocemente. Inutile ribadire perché, basti ricordare che, secondo i sondaggi, la vittoria del fronte sovranista (al quale si è accodato senza apparenti riserve anche il Cavaliere) è in netto vantaggio. Ma non sono tutte rose e fiori. Nel centrodestra ci sono ancora tanti conti da regolare dopo 17 mesi vissuti da separati in casa, con Fratelli d’Italia all’opposizione, mentre Lega e Forza Italia condividevano con Draghi il governo del Paese.
In queste ore concitate, a preoccupare gli alleati, in particolare Giorgia Meloni, nuovo presidente del Consiglio in pectore (è lei a svettare nei sondaggi), è il dinamismo di Berlusconi, che ha tirato fuori dal cassetto tutto l’armamentario delle grandi occasioni, compresa la sua unità di misura preferita: il milione. E ha già promesso un milione di alberi da piantare ogni anno (ma pare che il Pnrr già ne preveda 6,6 milioni entro il 2024 per un investimento complessivo di oltre 300 milioni di euro), pensioni ad almeno 1.000 euro al mese per 13 mensilità. Mancano 3 zeri al “milione” ma il senso è quello per chi forse pensa ancora in lire.
Ai suoi ministri - Gelmini e Brunetta - che hanno lasciato Forza Italia in disaccordo con la deriva sovranista del Cavaliere («Non è più lui»), ha risposto con un epitaffio: «Mariastella e Renato? Riposino in pace».
Toni senza dubbio ben poco moderati, che confermano un’iperattività politica che ha, forse, obiettivi ancora inconfessabili. A mettere nero su bianco la presunta idea pazza di Berlusconi è stato il sito di Roberto D’Agostino - Dagospia -, secondo il quale dietro il “nuovo” Berlusconi, oggi ostentatamente anti-Draghi, c’è il desiderio di tornare a Palazzo Chigi.
«Come mai Berlusconi, da sempre sostenitore di Draghi e sedicente “responsabile” del centrodestra – scrive Dagospia, che di solito è molto bene informato -, ha deciso di lasciar naufragare il governo di Mariopio, assecondando le pulsioni distruttive di Salvini e Conte?». La risposta arriva poco dopo: «Anche stavolta Berlusconi si è smarrito in un mondo di sogni e di promesse. Salvini e Licia Ronzulli, in versione “il gatto e la volpe”, lo hanno rintronato di chiacchiere e illusioni. Lo hanno convinto a scaricare Draghi con la più dolce delle fantasticherie: “Silvio, andiamo alle elezioni, le vinciamo e tu sarai di nuovo presidente del Consiglio! Tornerai l’eroe di Pratica di mare facendo fare la pace a Biden e Putin”».
Impossibile dire se sia andata proprio così e se davvero il Cavaliere spera, a 86 anni (li compie il 29 settembre), di tornare a suonare la campanella di Palazzo Chigi.
Di certo si candiderà al Senato, dal quale nel 2013 decadde in applicazione della Legge Severino. Se, come probabilmente avverrà, sarà rieletto, si prenderà una rivincita troppo piccola per le sue ambizioni, che pochi mesi fa hanno anche accarezzato invano l’altrettanto pazza idea di diventare Presidente della Repubblica. Ma come in quell’occasione, quando nessuno avrebbe scommesso che facesse sul serio e invece inchiodò l’Italia a interminabili settimane di tira e molla prima che Mattarella accettasse giocoforza di restare al Quirinale, anche questa volta il Cav non va sottovalutato.
Lo sa Giorgia Meloni, che ha fiutato la trappola e ora continua a mettere i puntini sulle i. «Chi vince governa», ha detto, rispondendo secca ai giornalisti che le chiedevano chi sarà il premier in caso di vittoria del centrodestra. Intanto, però, sente il fiato sul collo delle cancellerie estere, di Washinton e dell’Europa che la controllano a vista, temendo che Palazzo Chigi si possa colorare di nero.
È c’è già chi ipotizza che, messa alle strette sotto la spada di Damocle dello spread, Meloni potrebbe decidere di rinunciare riservandosi di indicare il premier, magari Giulio Tremonti, anche lui in preda a un attivismo insolito per uno che non si vedeva in Tv da anni. Invece, in questi ultimi giorni, il suo rotacismo (volgarmente, l’erre moscia) risuona da un canale all’altro.
Si vedrà, siamo appena all’inizio della campagna elettorale. Ma stavolta la giostra gira veloce e il 25 settembre è davvero dietro l’angolo.