Salvatore Perugini è cresciuto a pane e politica. Il papà Pasquale è stato deputato e senatore della Dc, nonché presidente della Regione. Lui ha seguito le orme del padre militando prima nel Ppi, poi nella Margherita ed infine nel Pd.

Faceva parte di una nidiata allevata dall’illuminato Franco Santo che aveva creato un gruppo di giovani dirigenti composto, tanto per fare alcuni nomi, da lui che divenne sindaco di Cosenza, Mario Maiolo, vicepresidente della Regione e Franco Bruno parlamentare. Un gruppo che poi si è dissolto lasciando nel Pd cosentino un’egemonia alla componente progressista.

Avvocato, cosa ne pensa del dibattito innescato da Franceschini sul ruolo dei cattolici democratici nel Pd, questo tirare dalla giacchetta Prodi… Anzi le faccio una domanda più diretta: secondo lei il Pd è mai nato?
«Ma guardi, se pensiamo che questo PD è nato con l'ambizione di unire culture politiche diverse per arrivare ad un punto di sintesi comune, se questa era l'ispirazione, dobbiamo dire che è fallita, perché sì, culture politiche diverse si sono messe insieme ma non sono mai stati capaci di produrre una sintesi di ragionamento politico. Per cui ogni giorno c'è qualcuno che all'interno del Pd dice una cosa diversa per distinguersi che in una dialettica interna in un partito va anche bene, ma poi il partito all'esterno, secondo il mio punto di vista, deve rappresentare sempre una posizione unitaria e costruttiva. Questa è una caratteristica negativa del modo di discussione all'interno della sinistra. Io vedo ancora esponenti che si dichiarano di sinistra che non dicono mai una parola positiva nei confronti del PD»

A chi si riferisce?
«Ma ce ne sono tanti…»

E secondo lei perché?
«Non vorrei una cosa che tutto si facesse e si desse un significato politico a quello che si fa per fini poco nobili. Mi spiego meglio. Non vorrei che il ragionamento fosse: mi garantisco un po' più di spazio per avere qualche rappresentanza parlamentare garantita, assicurata che altrimenti non riuscirei ad avere. In tanti atteggiamenti leggo questi obiettivi. Ovviamente sono legittime le aspirazioni personali, ma se  poi questo tipo di attività politica produce perdita di consensi elettorali o peggio produce un astensionismo ormai dilagante alla fine è una soddisfazione personale, non collettiva; l'utilità marginale è per il singolo che si garantisce una rielezione.. cioè è come se io vedessi un circuito tutto autoreferenziale che su piano politico non produce risultati e allontana la gente. Adesso la dico con un nome e un cognome…

Prego…
«Che Prodi possa legittimamente esprimere un pensiero anche autorevole, non lo discuto ma che poi si faccia una discussione su Prodi che deve aprire una direzione del Pd e trarre le conclusioni e Prodi è uno che dice io non voglio interessarmi di politica però ne parlo… è confusione per l'elettorato perché ognuno si pone la domanda ma qual è il fine vero? Io attualmente non vedo nel partito democratico una pluralità vera di discussione e anche di differenze che poi puntano alla sintesi vedo semplicemente posizionamenti alla ricerca di maggiori spazi»

E come legge questa ipotesi di Franceschini di marciare divisi per poi unirsi nei collegi uninominali con i 5 Stelle?
«L’ho capita anche poco tecnicamente, magari ci sarà qualche meccanismo che funzionerà nei collegi… non so. Mi sembra una rassegnazione di tipo residuale: siccome l'unità non la troveremo mai perché ognuno si vuole distinguere accontentiamoci di questo cioè sfruttiamo la legge elettorale al meglio che possiamo nel tentativo poi di poter comporre un quadro che diventa maggioranza parlamentare. Franceschini non c'è dubbio che si pone il problema di come facciamo a vincere che, vista dall’altro lato, è probabilmente frutto della consapevolezza che così perdiamo perché non troveremo una quadra. Anche qui però non è che sia aperta una discussione di merito mentre Franceschini lo dice perché non crede che il centro sinistra riesca ad unirsi e infatti chi gli ha dato sponda immediata? Conte, perché i 5 Stelle inseguono ancora un loro disegno di alleanze su che cosa poi non le vedo».

Senta, andiamo in Calabria. Questa sindrome della sconfitta sembra essere presente anche nel Pd calabrese. Il centrodestra è già in campo con la ricandidatura di Occhiuto, dall’altra parte è tutto fermo. Non so se è stato a Mormanno… la Schlein ha detto di fare presto e bene…
«Stimo molto Paolo (Pappaterra, ndr) il sindaco di Mormanno. Per me è un quadro politico vero che può rappresentare una novità. Mi piace come sindaco ed anche come persona, come modo di fare, garbato, equilibrato. Purtroppo ho avuto problemi personali e gli ho scritto che   non potevo andare. Ma prima di Mormanno c'è stata la Festa dell'Unità a Cosenza e in uno di questi dibatti è intervenuto il segretario regionale, Nicola Irto, mio carissimo amico… Devo dire che ha fatto un ragionamento totalmente condivisibile, affermando un principio: alle prossime regionali il PD concorre partendo dai territori, rivendicando l'autonomia delle decisioni dei livelli di partito regionale e quindi lavoriamo su questo. Scelta che io condivido perché la storia ci dice che quando hanno scelto altri abbiamo sempre perso. Mi sono avvicinato a lui e gli ho detto, guarda Nicola apprezzo quello che hai detto, ti faccio una sola raccomandazione su questa cosa comincia a lavorarci da domani, ma anche con una evidenza nel senso coinvolgi tutto il partito per giungere alla scelta di una candidatura autorevole del partito regionale calabrese che si possa contrapporre ad Occhiuto che ha successo anche personalmente, ma che ha messo in campo una comunicazione efficace, che penetra nella gente. Quindi serve non solo una persona con un suo consenso e carisma ma anche complessivamente l’immagine di un partito che attraverso la discussione, attraverso il confronto arriva alle scelte... non che arriviamo all'ultimo minuto con qualcuno da Roma che ci dice che dobbiamo candidare Y e in tre giorni si devono fare le liste. Allora gli ho detto il tuo approccio è corretto, fecondalo attraverso un'attività sui territori; se devono decidere i territori questi devono essere coinvolti in una discussione»

E poi cosa è successo?
«Non mi pare che da quel dì ad oggi si sia mosso qualcosa, non è passato molto tempo quindi ancora sono fiducioso che Nicola prenda un'iniziativa di questo genere. Ad oggi non abbiamo avuto momenti di discussione vera, su che cosa dobbiamo fare e con chi farlo, di analisi sui temi che uniscono e quelli che dividono. Arriveremo di nuovo impreparati? Mi auguro di no però lo temo»

Eppure il materiale umano non manca. Il centrosinistra governa tutte le grandi città, questa è una complicazione? E ancora come mai nelle amministrative il Pd vince e poi alle regionali va male?
«Nelle singole città, ormai da tempo, c'è nell'elettorato l'idea di scegliere in un ambito molto ristretto di territorio. C’è un confronto fra i due candidati che sono entrambi radicati, conosciuti perché stanno per strada, cioè tu col sindaco o col candidato a sindaco hai un rapporto più immediato. Il governatore della regione e l'elezione regionale in genere ha una dimensione un po' più astratta per il cittadino perché sia durante il governo sia nel post-governo non hai col governatore lo stesso rapporto che puoi avere col sindaco, che tu scendi di casa e lo incontri tutte le mattine sotto il comune. Quindi giocano valutazioni diverse e anche metodi e sistemi elettorali diversi. Io ho fatto il sindaco di Cosenza però mi sono sentito sempre anche il sindaco di una città della regione, sempre alla ricerca di contatti e collegamenti con gli altri sindaci per sviluppare strategie che varcavano i confini e andassero in un'ottica di sviluppo più complessivo. Invece oggi, ma non in Calabria ma in tutte le regioni italiane, nel vuoto della politica è come se ogni città si costituisse quasi una monade a sé e quindi il sindaco potesse, al di là del suo dovere di governare, cominciare a pensare anche ad altro. Lì succedono divisioni, equivoci, voci che si rincorrono che non fanno bene, perché ripeto, venendo meno il sistema della politica che è quella che fa sintesi, ciascun livello istituzionale si sente quasi autorizzato a dire vabbè, vediamo che cosa succede. Questo non produce buoni risultati perché un conto è che un partito a livello regionale comincia a discutere con gli eletti, con i rappresentanti istituzionali, con la base, con i circoli per giungere ad una sintesi; altro conto se poi deve decidere su gente che si candida autonomamente. E’ il contrario: è il partito che candida, non è il partito che dice sì a chi si candida, il ragionamento cambia, è completamente diverso. Questa distorsione si avverte a livello nazionale, a livello provinciale, a livello comunale, a livello regionale: si accettano le candidature perché non si è stati capaci di produrne una propria attraverso la rete della politica. Ma non è un problema solo del Pd questo purtroppo è un dato del sistema attuale».

Eppure il Pd aveva ideato il sistema delle primarie. Che fine hanno fatto? Perché non si mettono più in campo?
«Bisogna sciogliere un equivoco. Il Pd dice io sono l'unico partito vero che c'è in questo sistema della politica italiana quindi rivendico il mio essere partito quando poi però questo tuo essere partito lo vai a concretizzare nell'attività, il partito diventa liquido perché è un partito in cui gli organismi non si riuniscono e se ci sono non discutono mai. Addirittura a Cosenza per un periodo non abbiamo nemmeno avuto la sede quando l'organizzazione di un partito è fondamentale. Il PD questo nodo secondo me non l'ha mai sciolto: se sono un movimento elettorale tipo America ci sta che ci vediamo ogni tanto, abbiamo le primarie; se invece io dico sono un partito e lo rivendico poi gli atti concreti ci devono essere per far capire ai cittadini che il partito c'è, ma prima che ai cittadini agli iscritti, agli simpatizzanti. Le faccio un altro esempio?»

Prego…
L'assemblea provinciale del PD Cosentino è stata eletta due anni fa e non si è mai riunita. Pare che addirittura, questa è la notizia che mi arriva, forse il 30-40% dei componenti non siano manco più iscritti al partito…»

In due anni ne cambiano di cose…
«Sì ho letto che il segretario provinciale, e questo mi fa piacere, aveva ridimensionato la segreteria azzerando quella di prima per farla più snella. Bene, ma di questa segreteria che si riunisce e che prende posizione abbiamo notizie? Io non ne ho»

In effetti anche sulla nomina del vicesindaco a Cosenza, sono passati quasi due anni non si capisce se è un problema del PD che non fa nomi, se è un problema del sindaco.. come la dobbiamo leggere?
«Penso che una posizione su questo il Pd la dovrebbe prendere nel rapporto col sindaco, nel senso che il sindaco non è iscritto al Pd, è iscritto a un altro partito. Certamente è sostenuto fortemente e giustamente dal Pd. Se nel suo cammino decide di fare una cosa piuttosto che un'altra la può anche fare perché ha la capacità e i poteri per farlo, ma un partito politico che sostiene questa candidatura ha il dovere di dire bene come lo risolviamo questo problema? Cioè fare una discussione neanche assolutamente privata, la discussione politica può essere anche più pubblica per capire come arrivare alla soluzione. Invece come vede le cose si lasciano andare e poi il punto di caduta nessuno lo sa o se arriverà un giorno un punto di caduta   uno si domanda ma come ci sei arrivato? Nessuno te lo sa dire certamente non ci sei arrivato attraverso la discussione politica»

Invece che ne pensa dell’opposizione in consiglio regionale?Qualcuno la definisce troppo blanda…
«Bisogna essere obiettivi quando si parla e quando si dà un giudizio su alcune cose. Da molti anni c'è stata sempre alternanza alla guida della Regione: ha vinto il centrosinistra non c'è stata una grande opposizione di centrodestra, ha vinto il centrodestra non c'è stata una grande opposizione del centrosinistra. Quindi in questa regione la cultura della opposizione al governo regionale non si è mai vista. Oggi è ancora più difficile perché più passa il tempo più il governatore si avvicina sempre di più all'immagine del sindaco come organo monocratico. Senti poco parlare di quello che fa la giunta regionale o di quello che fa il consiglio regionale, si sente solo parlare di quello che fa il governatore. Detto questo non c'è dubbio che se noi diciamo, come diciamo, che molti problemi non sono risolti dobbiamo incalzare chi governa proponendo delle soluzioni, aprendo dei luoghi di discussione è sempre lì il tema»

Lei dice che manca un accompagnamento politico all’azione delle opposizioni?
«Il partito deve supportare l'attività sia di chi governa, sia di chi sta in opposizione non può disinteressarsi di ciò che accade e dopo 5 anni si preoccupa solo di fare una lista o di scegliere un nuovo candidato a sindaco o a presidente della Regione. La vera crisi della politica è questa: il collegamento fra l'eletto e il partito. Oggi  l'eletto non risponde al partito anzi manco lo consulta. Sono eletto nel Pd e mi fa piacere però poi col mio segretario cittadino manco ci parlo Questa è la madre di tutta una serie di conseguenze negative che andrebbero rimosse ripristinando l'autorevolezza del partito in quanto soggetto che raccoglie, riunisce, dialoga, esprime una posizione e la consegna all'amministratore di turno».

Però qualche errore tattico forse il Pd regionale lo ha fatto, penso alla vicenda del referendum sulla città unica fra Cosenza, Rende e Castrolibero…
«Quella vicenda dimostra molte cose ma una in assoluto ovvero quanto sia in crisi il sistema della rappresentanza. Se è vero, come è vero, che tutti i partiti dell'arco costituzionale erano per il sì sommando i voti di ciascun partito, per il sì ci doveva essere un plebiscito. L'ottanta per cento è astensionismo quindi vuol dire che tu partito non sei riuscito a colloquiare con i tuoi elettori e non dico a convincerli ma ad illustrare le questioni. Quindi il primo dato evidente è la più assoluta crisi della rappresentanza»

E il secondo?
«Ma lei ha sentito in questa campagna elettorale una discussione che affrontasse davvero i temi del sì e del no e quindi delle utilità o delle inutilità? Io ho sentito dire che non si poteva votare a favore di Caputo, che mi pare sia il consigliere regionale che ha proposto la legge; che non si poteva accettare quest'idea di predominio di un centro-destra che già immaginava di avere il futuro sindaco della città unica Sui temi non ha ragionato nessuno o se ne ha ragionato lo ha fatto sempre in termini di posizioni strumentali»

Si ma lei era favorevole o contrario?
«La città unica è nelle cose poi si poteva fare meglio lo strumento legislativo ma lei ha visto se c'è stata mai una discussione di merito con una politica per esempio di emendamenti per migliorare l'assetto legislativo che aveva predisposto la Regione? Io ho visto una lite soltanto su cose che il cittadino ha talmente poco capito che pur considerando Cosenza Castrolibero e Rende una città unica non è andata a votare».

Eppure Cosenza senza questa prospettiva sembra una città morta…
«Nel 2006 eletto sindaco, nel programma ho messo la città unica. Il giorno dopo la mia elezione, non c'era la legge, ho detto facciamo subito un referendum consultivo. Mi è stato risposto comincia a farlo a Cosenza che poi vediamo.. ma che senso aveva? Non c'è alternativa: Cosenza, Castrolibero, Rende, l'università è un'unica area urbana che necessita secondo me di una guida amministrativa unica. Le aggiungo che non sono manco riuscito a fare l'unione dei comuni. Quando ho visto che c'era questa difficoltà avevo tentato di dire facciamo l'unione dei comuni neanche quella è stata possibile perché ancora prevale il senso del dominio politico, e mi fermo qui, nel proprio territorio, nel proprio orticello ma non serve perché non c’è prospettiva. Se continua così Corigliano Rossano diventerà col tempo più importante della città capoluogo , se continua così Cosenza di capoluogo di provincia avrà solo l'etichetta e qualche ufficio ma in realtà dal punto di vista economico, produttivo non conterà moltissimo»