Anche quest’anno, e non c’era dubbio alcuno, si è chiuso senza che il Consiglio regionale affrontasse il nodo relativo all’approvazione della riforma elettorale che vorrebbe introdurre la doppia preferenza di genere.

E c’è da scommettere che, per come si sono messe le cose per il governatore e la sua maggioranza, la questione verrà rubricata fra quelle prive di interesse attuale.

Il gioco di prestigio dell’Assemblea più maschilista d’Italia va avanti dal 2010, quando era ancora governatore Agazio Loiero. Sul finire di quella legislatura, arrivò in Aula un emendamento firmato Liliana Frascà introduttivo della doppia preferenza di genere. Il voto dell’Assemblea fu contrario in maniera trasversale e con accordo preso nelle segrete stanze in modo che nessun gruppo e nessuno schieramento avesse una responsabilità precisa.

Da allora sono passati 8 anni e una serie infinita di convegni, promesse, frizzi e lazzi. Miriadi di occasioni in cui i vertici istituzionali hanno mostrato la coda del pavone al massimo dell’apertura davanti a Commissioni pari opportunità, rappresentanti delle associazioni e quant’altro, sapendo già di mentire.

 

Perché promettere la riforma quando non esiste la volontà politica di realizzarla?

Tornando ai giorni nostri, l’ultima volta che il Consiglio regionale ha affrontato la vicenda risale allo scorso 28 settembre quando all’ordine del giorno figurava la proposta di legge, di iniziativa di Flora Sculco, volta a promuovere “la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive regionali”. Stavolta non si è neanche arrivati al voto. La Conferenza dei capigruppo, dopo un accordo praticamente bipartisan, ha deciso un nuovo rinvio con il placet della stessa Sculco. Dopo mesi di dibattiti, convegni e promesse, la maggioranza ha scoperto solo qualche ora prima dell’inizio dei lavori dell’Aula, che la legge Sculco andava adeguata alla normativa nazionale in materia.

 

Il che ha riportato il testo in Commissione, dove ancora giace o è stato perduto. Quanto tempo ci vorrà per arrivare alla sua approvazione? Perché l’adeguamento alla normativa nazionale non è stato avviato in precedenza? Interrogativi che non hanno avuto nessuna risposta e continuano a non averla. Così come si sono perse le tracce dell’iter relativo alla proposta di iniziativa popolare, con oltre 7mila firme raccolte, avviato dal Comitato presieduto da Giovanna Cusumano.

 

Ipocrisia politica allo stato puro. Quella che si paga cara alla urne. La pagarono all’epoca Agazio Loiero e Giuseppe Bova, la pagheranno adesso Mario Oliverio e Nicola Irto.

 

Anche perché falsità sull’argomento non sono gradite per nulla in una Regione che è tra le peggiori 4 d’Europa per occupazione femminile, dove l’organizzazione patriarcale della famiglia impera nelle comunità dell’entroterra, dove sono pochissime le donne sindaco e assessore e dove strumenti di parificazione degli accessi sarebbero soltanto da salutare come benvenuti.

 

Legittimo comunque pensarla diversamente e dire che le donne hanno pari diritti degli uomini di essere inserite nelle liste e non servono ulteriori strumenti. Lo si dice, si vota contro e si va avanti. Assumendosi le proprie responsabilità senza continuare a fare il gioco delle tre carte come se davanti si avesse una popolazione di perfetti idioti.

Riccardo Tripepi