La sconfitta elettorale sarda nel centrodestra ancora non è stata smaltita. Nonostante la premier Giorgia Meloni faccia buon viso a cattivo gioco le cronache politiche raccontano di tensioni crescenti nella coalizione e una certa apprensione per il voto in Abruzzo che ripropone uno schema identico a quello sardo: da un lato il candidato scelto da FdI, Marsilio, dall’altro Luciano D’Amico sostenuto da un campo larghissimo che comprende anche Azione e Iv. Si vota il 10 marzo e sarà subito un banco di prova per vedere se l’effetto Todde si propagherà su tutto il territorio nazionale. Ne abbiamo parlato con il senatore Nicola Irto, segretario regionale del Pd calabrese.

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Senatore cosa ci dice il voto in Sardegna?
«Il risultato finale è chiaro: il centrosinistra unito vince, il centrodestra unito perde. Poi ogni elezione ha una storia a sé, ma quella del presidente di Regione dà sempre una misura precisa della fiducia degli elettori nel candidato e nella coalizione che lo sostiene».

Si ma la Sardegna è un modello esportabile?
«La Sardegna è una regione del Mezzogiorno, il che è un aspetto da non sottovalutare. Di là dall’ottimo profilo della nuova presidente, Alessandra Todde, con cui mi congratulo e cui auguro buon lavoro, nel risultato della Sardegna c’è, a mio avviso, anche una risposta dei cittadini rispetto alle politiche del governo Meloni, che penalizzano il Sud e sono molto condizionate dalle pressioni della Lega. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata rappresenta la prepotenza del governo di centrodestra ed è percepita come tale dall’intero Mezzogiorno».

Si, ma ha vinto il centrosinistra o ha perso il centrodestra?
«In politica, conta tanto il lavoro preparatorio, cioè l’impegno nei territori, la costruzione di un progetto radicalmente alternativo a quello delle destre, la capacità di leggere il presente e anticipare il futuro. Il centrodestra sta facendo il contrario di ciò che aveva promesso e sta perdendo credibilità. Ormai è chiaro che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno un accordo/baratto tra di loro, fondato su singoli obiettivi: premierato e secessione. Invece, il centrosinistra punta a cambiare il Paese partendo dal futuro dalle nuove generazioni, dallo Stato sociale, dal salario minimo e dallo sviluppo vero del Sud».

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Perché l’alleanza fra Pd e M5s due anni fa in Calabria non ha funzionato?
«Perché non è stata un’alleanza completa. Ricordiamo che allora il centrosinistra si divise e si arrivò molto lunghi. Dunque, bisogna imparare dagli errori del passato; soprattutto in questa fase, segnata dalla volontà del governo di spaccare l’Italia, con il conseguente impoverimento e spopolamento del Mezzogiorno».

A che punto è, oggi, il dialogo con il M5S? A Vibo sì a Corigliano Rossano no?
«Intanto ci tengo a dire che sono chiamati al voto oltre 100 Comuni in Calabria. Essendo profondamente convinto che non si possono imporre scelte calate dall’alto, ho chiesto alle federazioni e ai circoli interessati di fare un lavoro aperto e inclusivo. Dopo aver costruito la vittoria del centrosinistra a Catanzaro, stiamo organizzandoci per ripetere a Vibo Valentia lo stesso risultato con l’unità dei progressisti. Non era scontato, è stato un lavoro collettivo complesso e faticoso, ma ci siamo riusciti e al momento siamo i primi ad aver ufficialmente il candidato in campo a differenza della destra. Riguardo a Corigliano-Rossano, la situazione di partenza è diversa. Lì c’è un candidato civico uscente di area centrosinistra: è in atto un confronto proprio sul sindaco uscente, che si sta seguendo assieme al gruppo dirigente del Partito democratico della Provincia di Cosenza».

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Nel Pd sembra che ci siano movimenti o aspirazioni sotto traccia per le Regionali. A che punto siete e siete sicuri che il candidato presidente tocchi al Pd? 
«Mancano tre anni alla fine della legislatura regionale. Tutti si dovrebbero sentire impegnati a costruire l’alternativa al centrodestra, a produrre proposte, azioni, riflessioni e aggregazione, a rafforzare il Partito democratico e il centrosinistra. C’è sempre, poi, chi, non avendo da fare, pensa a operazioni macchiettistiche e di pettegolezzo, piuttosto che a lavorare. Io sento molto la necessità dell’impegno, perciò sono presente ovunque, nel territorio calabrese, per ascoltare le persone e raccoglierne i bisogni, le proposte e anche le critiche. Mi auguro che tutto il gruppo dirigente si assuma la responsabilità di essere tra la gente per costruire l’alternativa. Se tutti insieme non costruiamo l’alternativa, se non siamo credibili e se non costruiamo un campo politico, e sottolineo politico, non c’è candidato che tenga. Il candidato è l’ultima parte del percorso, ma prima bisogna preparare il terreno. Magari ci sarà più di un candidato, e in quel caso avremo gli strumenti per decidere. L’obiettivo deve essere quello di presentarci alle prossime Regionali con un progetto forte e credibile, capace di dare le risposte che servono ai cittadini e che l’attuale Governo regionale sta tradendo».

Per le Europee che cosa si sta muovendo? Avremo candidati calabresi?
«Sì, ci saranno candidature calabresi. Si stanno raccogliendo le disponibilità, andando oltre il Partito democratico. Così come la nostra segretaria nazionale chiede, dobbiamo provare ad aprirci, a chiedere un impegno anche a figure al di fuori del recinto del Pd. La partita delle Europee è molto importante, anzitutto per tre questioni: lo sviluppo delle aree meridionali, la tenuta dello Stato sociale e l’unità politica dell’Europa, minata dalle destre, che soffiano sul fuoco dei nazionalismi»..