Incertezze e ritardi alla base del dietrofront della multinazionale. L'impatto economico e gli scenari futuri. E l'appello dei sindacati confederali: «Affidare il futuro soltanto alle sorti magnifiche e progressive di agricoltura e pesca è un errore strategico»
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La multinazionale Baker Hughes aveva manifestato interesse a realizzare nel porto di Corigliano Rossano uno stabilimento per la produzione e l’assemblaggio di componenti industriali, con un focus particolare sulle tecnologie avanzate per l’estrazione e la lavorazione di gas naturale. L’investimento avrebbe comportato una spesa di circa 60 milioni di euro, con la previsione di creare fino a 200 posti di lavoro diretti. A questi, si sarebbero aggiunti numerosi altri impieghi nell’indotto, tra logistica, trasporti e forniture tecniche. Secondo i piani originali, lo stabilimento avrebbe dovuto diventare un hub strategico per l’intera area del Mediterraneo, con la capacità di servire mercati internazionali grazie alla posizione geografica vantaggiosa del porto di Corigliano Rossano.
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I ritardi e le incertezze
Nonostante il progetto fosse stato accolto con entusiasmo sia dalle autorità locali che dalle comunità del territorio, lo sviluppo infrastrutturale necessario per accogliere l’investimento non ha rispettato le tempistiche iniziali. Non è la prima volta che l’area del porto di Corigliano Rossano si trova al centro di promesse di sviluppo che poi non si concretizzano. Progetti simili in passato sono stati affossati da problemi burocratici, ritardi amministrativi, proteste di ambientalisti, difficoltà di coordinamento tra i vari livelli di governance locale e nazionale.
Impatto economico e reazioni locali
La notizia della rinuncia ha già suscitato grande preoccupazione tra i sindacati e gli imprenditori locali. Le organizzazioni sindacali avevano già avviato contatti con Baker Hughes per valutare piani di formazione e qualificazione del personale da impiegare nello stabilimento. La prospettiva di centinaia di posti di lavoro diretti rappresentava una boccata d’ossigeno per un’area storicamente afflitta da un alto tasso di disoccupazione. Proprio ieri avrebbe dovuto tenersi una conferenza di capigruppo a Corigliano Rossano per portare la tematica in consiglio comunale.
Scenari futuri
Il ritiro di Baker Hughes rappresenta un duro colpo per le speranze di sviluppo economico del porto di Corigliano Rossano e della regione. Le istituzioni locali e regionali dovranno ora affrontare il compito di gestire l'impatto negativo che questa rinuncia avrà sull’economia del territorio, già gravemente compromessa dalla crisi economica e dalle difficoltà infrastrutturali. La necessità di creare un contesto più favorevole agli investimenti esteri, con tempi certi e procedure meno complesse, appare quanto mai urgente.
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Sulla pratica, tra l’altro, pende un ricorso alla Presidenza della Repubblica presentato dal comune Corigliano Rossano, che ha rallentato l'iter per l'insediamento della multinazionale. Baker Hughes aveva fissato come scadenza fine settembre per lo sblocco della situazione. Il Comune di Corigliano Rossano, guidato dal sindaco Flavio Stasi, inizialmente favorevole, si è opposto all'autorizzazione ZES rilasciata dall'Autorità Portuale, proponendo di spostare l'installazione nell'area industriale di Schiavonea, per evitare impatti negativi sul turismo e la pesca locali. I sindacati, invece, sostengono Baker Hughes, considerando l'investimento un'opportunità occupazionale vitale per la regione.
Cgil, Cisl e Uil: «Si colga ogni possibile spiraglio per non perdere l’investimento»
I sindacati confederali, favorevoli all’insediamento industriale, adesso chiedono che si «colga ogni possibile spiraglio per non perdere l’investimento».
«Una notizia non certa inaspettata – scrivono in una nota Giuseppe Guido, segretario generale Cgil Pollino Sibaritide Tirreno, Giuseppe Lavia, segretario generale Cisl Cosenza e Paolo Cretella, segretario generale Uil Cosenza – motivata dall’azienda dal ricorso presentato dal Comune che ha rallentato e bloccato le fasi autorizzative e di realizzazione dell'investimento. Abbiamo sempre sostenuto, unitamente alle federazioni di categoria, la bontà dell'investimento per le sue ricadute occupazionali, circa 200 posti di lavori, per l'indotto che sarebbe stato generato e per le competenze che sarebbero state trasferite sul territorio. I nostri appelli rivolti all'amministrazione comunale e al sindaco sono caduti nel vuoto. Il Consiglio comunale non ha trovato il tempo di discutere di un argomento così importante, anche dopo una conferenza dei capigruppo aperta alle forze sociali, nella quale come CGIL CISL UIL abbiamo spiegato le ragioni del nostro si all'investimento. Un'occasione persa per il territorio. Hanno vinto le associazioni senza associati, i presidenti del nulla. Hanno vinto le sindromi di nimby e nimto. Ha vinto il nostro autolesionismo. Un investimento pienamente compatibile con le altre vocazioni della struttura portuale: pesca, commercio, diporto».
«Noi lo ripetiamo, affidare il nostro futuro soltanto alle sorti magnifiche e progressive di agricoltura e pesca, settori pur importanti, è un errore strategico. L'investimento era ed è pienamente compatibile con queste vocazioni. Se ci fosse un solo spiraglio di riaprire la partita, tutti, nessuno escluso, dovrebbero coglierlo; il nostro è un appello accorato – concludono i confederali – a tutte le Istituzioni che richiamiamo al senso di responsabilità nell’interesse di una comunità che ha fame di lavoro dignitoso. In attesa di decine e decine di navi da crociera, che sono lì, alla rada, e che aspettano solo di entrare nel Porto».