Nelle intenzioni di voto la Lega sorpassa l’M5s attestandosi al 29,2 per cento ma ora l’elettorato più moderato orfano di Pd e Forza Italia potrebbe vedere nei grillini il pericolo minore per la tenuta democratica del Paese
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Il primo partito italiano è già diventato il secondo. Nel consueto sondaggio del lunedì, condotto sulle intenzioni di voto da Swg per il Tg di La7, la Lega si attesta al 29,2 per cento contro il 29 per cento del Movimento cinque stelle, che una settimana fa, invece, faceva registrare un 31,5 per cento di consensi a fronte del 27 del partito di Salvini.
È la conferma statistica di quello che già si era ampiamento intuito dopo il caso dell’Aquarius, la nave di migranti respinta dall’Italia, e l’esplosione dello scandalo romano sulla costruzione del nuovo stadio, che sta logorando la già residua credibilità del più esposto sindaco grillino, Virginia Raggi. Insomma, Salvini cresce a discapito dell’alleato, e se si votasse domani potrebbe andare all’incasso di una maggioranza schiacciante che probabilmente gli consentirebbe di governare da solo.
Ma non si vota domani. Anzi, la Legislatura è appena iniziata e comunque vada non si tornerà alle urne prima della prossima primavera, quando in calendario ci sono le elezioni europee. Immaginare che il leader della Lega possa continuare all’infinito questa sorta di eterna campagna elettorale è molto difficile. Per due ordini di motivi: la contingenza dei problemi che è chiamato ad affrontare da ministro dell’Interno, che prima o poi gli imporranno scelte lontane dal suo stesso cliché, e il rischio che resti senza fiato prima di tagliare qualsiasi nuovo traguardo elettorale.
Finora i cinquestelle hanno fatto la figura degli allocchi dinnanzi alle sparate di Salvini, che li ha messi puntualmente in ombra cavalcando i suoi cavalli di battaglia, a cominciare ovviamente dal tema dell’immigrazione. Un’inferiorità politica talmente evidente, quasi ostentata, da far nascere il sospetto che si tratti di un rischio calcolato per attecchire anche in quell’elettorato moderato rimasto orfano del Pd e di Forza Italia. Un Salvini che spinge a tavoletta sull’acceleratore della sua propaganda, sparando tutte le cartucce del suo arsenale ed esponendosi alle critiche della comunità internazionale - questo l’ipotetico ragionamento di Di Maio e Casaleggio - potrebbe restare presto senza benzina.
Sinora i “cattivi”, quelli che spaventavano davvero gli ambienti moderati di società e finanza, erano proprio i cinquestelle, visti come i giacobini del nuovo secolo pronti a tagliare teste e a spazzare via il sistema senza tentennamenti. Ora, invece, molti elettori indecisi o comunque disillusi dai vecchi partiti potrebbero maturare il convincimento che il pericolo maggiore per la tenuta democratica del Paese venga dal Matteo di destra e dalle sue parole spesso prive di qualsiasi cautela, come nell'ultima uscita - stigmatizzata proprio dai grillini che ne hanno preso le distanze - sul censimento dei Rom e sulla costatazione «che quelli italiani purtroppo ce li dobbiamo tenere».
Se questa fosse una gara sui 100 metri, Salvini non lo riprenderebbero più e taglierebbe il traguardo a braccia alzate in perfetta solitudine. Ma questa è una corsa di mezzofondo, se non addirittura una maratona. Alla fine, a superare la linea dell’arrivo sarà chi avrà saputo bilanciare al meglio le proprie forze, convincendo il pubblico sugli spalti che dovrà decretare il vero vincitore. E il leader della Lega, ad appena 20 giorni dall’insediamento del governo Conte, già sembra essersi eccessivamente inflazionato con una presenza troppo invasiva e pretestuosa, soprattutto per un elettorato, quello italiano, che ha già dimostrato con Renzi di stancarsi presto di chi parla troppo.
Enrico De Girolamo