Nella sua visita lampo l'inquilino di Palazzo Chigi si è limitato a enunciare i problemi che già conosciamo senza offrire alcuna risposta concreta alle priorità che lui stesso ha ribadito per l'ennesima volta: criminalità, occupazione, infrastrutture. Una passerella costosa e inutile
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Cosa è venuto a fare il premier Conte il Calabria? La domanda aleggia non detta da stamattina, quando è atterrato in terra calabra con meno di 24 ore di preavviso. Una visita inaspettata, che di certo, però, non lascerà il segno.
Il presidente del Consiglio dei ministri, infatti, si è limitato a «testimoniare l’attenzione del Governo, perché questa è una regione molto sofferente e provata da un grande disagio sociale». Wow! Ma non finisce qui. La puntualissima analisi affidata ai taccuini dei giornalisti che lo seguivano a frotte è andata oltre: «Tra i problemi, insieme a quello della criminalità organizzata e della disoccupazione giovanile, c’è la situazione di una regione che è ancora isolata per carenze di infrastrutture e perché le vie di comunicazione sono complicate». Mancava solo un accenno alla scomparsa delle mezze stagioni e poi il quadro era completo. Ma Conte ne aveva ancora per tutti: «Per la Calabria non si può applicare solo un discorso di legalità. Occorrono anche interventi per la crescita economica e sociale. I dati ne sono testimoni: sono decine di migliaia ormai i giovani calabresi che emigrano ed è a questi giovani e alle loro famiglie che lo Stato deve dare una risposta».
Ecco, appunto, risposte. È come se il presidente del Consiglio non fosse “autorizzato” a dare risposte, che probabilmente neppure ha, ma gli fosse concesso soltanto di ribadire cose dette e ridette in ogni salsa da decenni, forse secoli. E allora perché sprecare soldi dei contribuenti per enunciare le solite priorità e venire ad esprimere «la solidarietà del Governo», quando sarebbe bastato un caloroso biglietto d’auguri per Natale? La Calabria è stanca di essere trattata come una colonia periferica che si può rabbonire con l’ennesima passerella e quattro banalità dettate alle agenzie. Le stesse che poi ha sintetizzato in un post fecebookiano al termine della giornata. Chi ha la curiosità di leggerlo potrà notare la totale coincidenza tra il testo pubblicato sulla piattaforma social e le dichiarazioni rilasciate ai microfoni calabresi poche ore prima. Una tale sovrapponibilità da far sembrare che Conte abbia mandato a memoria cosa dire una volta in Calabria, senza possibilità di alcuna deviazione da ciò che era stato stabilito dal suo portavoce Rocco Casalino.
Conte aveva il dovere di venire qui giù portando con sé soluzioni. Avrebbe dovuto dire come intende fermare la ‘ndrangheta, magari accennando alla riforma del processo penale che giudici come Gratteri chiedono da sempre. Avrebbe dovuto riferirci come crede di poter rilanciare l’economia, forse facendo finalmente partire la Zes e facendo arrivare da queste parti l’Alta velocità. Oppure avrebbe potuto spiegarci come pensa di fermare l’emigrazione dei giovani calabresi costretti ad andare via, magari incrementando le occasioni di lavoro con incentivi per l’occupazione giovanile. Insomma, avrebbe potuto parlarci di tante cose. Invece, si è limitato a dire che “c’è molta crisi” come un Quelo qualunque, il mitico personaggio di Corrado Guzzanti che aggiungeva: «La gente non sa più quando stiamo andando».
Ecco, in Calabria non sappiamo più quando stiamo andando. E Conte non ci ha davvero rischiarato le idee.
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