Tutti i paradossi del no alla iscrizione dell'ex governatore. In una fase in cui il partito vorrebbe ricostruirsi aprendosi anche a forze esterne del centrosinistra, dal Pollino allo Stretto si continua con le barricate
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Oliverio e chi, come lui, si è candidato in alternativa al Pd non può prendere la tessera e partecipare a questa fase del congresso. Lo ha stabilito la commissione nazionale di garanzia del partito su esplicita richiesta di Gianni Cuperlo. Il candidato alla segreteria ha chiesto una interpretazione autentica dell’art. 4 comma 10 dello statuto e la fumata è stata nera.
Semaforo rosso per Oliverio, verde per gli altri
Circostanza paradossale per una serie di motivi. Il primo è che, se proprio vogliamo lanciarci nella esegesi del regolamento, l’articolo si riferisce agli iscritti del Pd. In realtà Mario Oliverio, quando si è candidato autonomamente alle ultime regionali, non aveva la tessera di partito. Non l’aveva rinnovata nel 2019 dopo la vicenda giudiziaria che lo aveva riguardato proprio per non mettere in imbarazzo il Pd. Nel 2020 invece non c’è stato proprio il tesseramento. In linea teorica quindi la fattispecie non dovrebbe applicarsi ad Oliverio. Così come non è stata applicata, ad esempio, agli esponenti di Articolo Uno che sono stati ammessi al congresso nonostante in diverse realtà locali si siano candidati anche in contrapposizione al Pd.
Il paradosso: iscrizione al partito no, primarie sì
In questa norma, poi, c’è del paradosso. Se giudicassimo esatta questa interpretazione la conseguenza è che Mario Oliverio non può prendere la tessera e partecipare a questa fase. Ma può benissimo partecipare alle primarie che sono aperte a tutti gli elettori di centrosinistra. Quindi immaginiamo anche a lui. Non solo. Ma, sempre alla luce del regolamento, potrebbe benissimo prendere la tessera appena partirà il tesseramento 2023 ovvero subito dopo il congresso. Il limite dello statuto parla infatti di due anni, quindi nel 2023 l'embargo dovrebbe cadere. Ma tutto questo ha poco senso in una fase in cui il Pd vorrebbe ricostruirsi, aprendosi anche a forze esterne del centrosinistra.
Invece in Calabria si continua con le barricate che hanno colto nel segno di demotivare tante persone che pure volevano offrire il loro contributo in questa fase. Dalle indiscrezioni di questi giorni l’ex sindaco di San Giovanni in Fiore, Giuseppe Belcastro, si è detto demotivato, così come il gruppo dei cuperliani di Crotone e tanti altri. Un vero e proprio controsenso politico che arriva proprio nel giorno in cui sono chiamate al voto le due regioni più popolose d’Italia: Lazio e Lombardia.
La partita in Lombardia e Lazio
Un turno elettorale che diviene decisivo non solo per i destini delle due regioni, ma soprattutto per i partiti. La situazione più interessante è in Lombardia, governata dal centrodestra da quando è nata questa coalizione. Qui il Governatore uscente, Attilio Fontana, vive un momento di appannamento. Contro di lui si è candidata Letizia Moratti che ha ottenuto il sostegno del Terzo Polo. Il Pd invece si è alleato con il M5s e ha candidato Pierfrancesco Majorino, divenuto noto a queste latitudini per la sua gaffe sulla Calabria. In Lombardia quindi le regionali nascondono un doppio significato. Innanzitutto la competizione interna del centrodestra con Fratelli d’Italia pronta a mettere nell’angolo i suoi alleati. Poi c’è il risultato elettorale che se dovesse arridere al centrosinistra sarebbe di grande senso politico. Meno valore hanno invece le elezioni in Lazio dove da sempre le due coalizioni si sono alternate. Qui la sfida è fra l’ex assessore alla sanità, Alessio D’Amato, questa volta sostenuto dal terzo Polo, mentre i 5 Stelle hanno preferito la giornalista televisiva Donatella Bianchi. Entrambi dovranno vedersela con l’ex presidente nazionale della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, sul quale hanno puntato tutti i partiti del centrodestra. Qui c’è qualche malcontento nei meloniani che avrebbero preferito un candidato più identitario, certi del successo elettorale.
Insomma l’appuntamento con le regionali ha un evidente effetto d’immagine nazionale. Si tratta di una sfida che il Pd dovrebbe giocare gettando il cuore oltre l’ostacolo e dando spessore alle parole d’ordine che circolano in questa fase congressuale: partecipazione, contaminazione, ascolto. Invece no, c’è sempre chi è pronto a spolverare commi e codici. Ma tutto questo che c’entra con la politica?