In queste ore il capo politico del M5s sembra avere il pallino in mano. In realtà non decide nulla, si limita a subire gli eventi che non ha la forza politica di contrastare
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Conte non vuole la crisi, ma neppure può darlo a vedere. Il capo politico del Movimento 5 stelle sa perfettamente che non è a capo di nulla. Non può imporre di votare la fiducia sul decreto Aiuti al Senato perché rischierebbe una nuova scissione e perderebbe altri parlamentari, convinti che questa sia l’ultima chance per tentare di risalire la china dei consensi recuperando un minimo di credibilità antisistema, la benzina che ha fatto girare a mille il motore grillino delle origini.
Allo stesso tempo, non può tornare sui suoi passi consolidando senza riserve la tenuta del governo Draghi, appiattendosi sulle posizioni dell’altro “Movimento”, il partito dello scissionista Di Maio, che ha rotto con la casa madre proprio perché sia chiaro da che parte sta, con il premier-banchiere appunto.
Comunque vada per Conte sarà un disastro: o perde quel che resta della faccia o perde l’occasione di partecipare ancora un po’ al giro che conta. “Aspirante Di Battista”, l’ha definito con raro sarcasmo Luigi Di Maio, a sottolineare che una volta fatto cadere il Governo il futuro politico di Conte varrà come un bitcoin al disastroso cambio attuale. A chi serve un imitatore se c’è l’originale? Perché un elettore ostinatamente e incomprensibilmente convinto di continuare a votare cinquestelle dovrebbe scegliere Conte e chi lo sostiene, se c’è chi promette di tornare all’indomito spirito delle origini con molta maggiore credibilità di chi fino a ieri andava a braccetto con Lega e Pd?
Insomma, il Papeete di Conte si è già compiuto, ma a differenza di quello di Salvini, che l’8 agosto 2019 decise da solo di far cadere il governo gialloverde, convinto di poter diventare a stretto giro Re d’Italia e della Padania, il fu Avvocato del popolo non decide nulla, si limita a subire gli eventi, trascinato da una corrente che non ha la forza politica di contrastare.
In questo triste tramonto politico, anche Di Maio sembra un gigante, capace di saltare fuori dal Titanic a cinque ciminiere prima che andasse a impattare sull’iceberg della disperazione parlamentare di un’orda di grillini orfani di se stessi e consapevoli che questo è l’ultimo giro di giostra.
E se Di Maio svetta sulle miserie di mille promesse tradite, ancora una volta Draghi sembra venire da un altro pianeta rispetto alla credibilità media della politica italiana. Il premier, infatti, non ha intenzione di andare avanti con una nuova maggioranza se il M5s dovesse non votare la fiducia al Senato, come appare ormai inevitabile. Contraddicendo anche i desiderata di Mattarella, che invece vorrebbe tentare sino all’ultimo di trovare una soluzione parlamentare alla crisi per evitare che il Paesi resti in mezzo al guado di una crisi economica che torna a mordere, alimentata dalla guerra e dal Covid, Draghi non ha nessuna intenzione di assomigliare a chi vorrebbero tenerlo sulla corda fino alle elezioni del 2023, per sfruttare la potente postazione governativa e, allo stesso tempo, fare campagna elettorale sui propri temi. No, grazie, avrà pensato, sbrigatevela da voi se siete capaci.